mercoledì 31 dicembre 2014

Buon anno a Lituania ed Albania

Con un giorno d'anticipo facciamo gli auguri alla Lituania che dal 1 gennaio 2015 adotterà l'Euro, divenendo il diciannovesimo membro dell'Unione Europea Monetaria.
Il giorno dell'ufficializzazione di tale evento, il 23 luglio 2014, il presidente del Consiglio della UE, l'italiano Sandro Gozi, ebbe a dichiarare: " E' la dimostrazione della persistente attrattiva del progetto della moneta unica e della sua rilevanza per il futuro della comunità".
Non mi stupisce l'uso della retorica in una occasione del genere, ma continuo a non capire la volontà di appartenere ad un tale Club delle Nazioni più Depresse.
Un altro paese che freme dalla voglia di vincolare la sua politica monetaria e fiscale, abbandonando l'immorale pratica delle svalutazioni esterne per dedicarsi alla pratica delle svalutazioni interne.
Un altro paese che affida alla manifesta incapacità della BCE il mandato di gestire il suo tasso d'inflazione, da un anno e mezzo sotto il livello obiettivo del 2%.
Un altro paese che, in caso di shock esterno, credendosi protetto dalla credibilità e solidità della moneta unica di fatto agevolerà il lavoro degli speculatori che si concentreranno sui tassi.
Un altro paese che ha deciso di combattere la disoccupazione con l'emigrazione dei suoi abitanti, con una popolazione in calo da 3,4 milioni del 2004 a 2,95 milioni del 2014.
Un altro paese che ha deciso di vivere nel cono d'ombra dell'economia tedesca, seconda nazione per importanza nell'import di un paese con una bilancia commerciale costantemente negativa da anni, con un saldo delle partite correnti raramente in attivo dall'inizio della crisi nel 2008.
O forse, semplicemente, un altro paese che interpreta il concetto della solidarietà e collaborazione economica tra le nazioni aderenti alla UE come proposto dal premier albanese Edi Rama.
Di fronte al presidente di turno del Consiglio dell'Unione Europea, il premier italiano Matteo Renzi, il primo ministro albanese invita gli imprenditori italiani ad investire in Albania perchè le tasse sono al 15% e non ci sono i sindacati.
Nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi, il neo candidato all'ingresso nella UE ci ricorda in tal modo i principi sui quali si basa il più grande mercato interno del mondo.
Che Edi Rama sia il segretario del Partito Socialista d'Albania, poi, non può certo scandalizzare chi ha appena assistito alla cancellazione dell'art.18 dello Statuto dei Lavoratori ad opera del segretario del partito erede del Partito Comunista Italiano.
Come l'Unione Europea intenda l'integrazione europea ce lo evidenzia, inoltre, la nuova legge sull'iva sugli acquisti digitali ( quindi beni non materiali ) effettuati in paesi esteri aderenti alla UE, che entrerà anch'essa in vigore il 1 gennaio 2015.
In base alla nuova legge, al consumatore finale sarà applicata l'aliquota iva del paese in cui è residente e non più quella del paese di residenza dell'impresa che vende il servizio o bene digitale.
Vengono così tutelati sia i governi che hanno deciso di spremere con una tassazione non progressiva i propri cittadini, sia i governi che praticano dumping fiscale, non comportando questa norma nessuna variazione nelle aliquote fiscali praticate all'imprese residenti in paradisi fiscali dell'Unione.
Buon anno a tutti!


venerdì 19 dicembre 2014

Questioni sull'allargamento dell'Unione Europea

Devo ammetterlo: non mi è facile collocare geograficamente, storicamente e geopoliticamente rispetto all'Europa due paesi come l'Ucraina e la Turchia. Spontaneamente, sulla scorta degli ormai lontanissimi studi di geografia, direi che la Turchia è in Asia e l'Ucraina in Europa ( dato confermato anche dalla classificazione dell'ONU ). Quanto senta intimamente europea l'Ucraina ( il cui nome pare possa significare "sul confine"  ) devo confessare, sinceramente non lo so, senza voler scomodare valutazioni di tipo culturale e storico.
Quel che è certo è che entrambi i paesi sono attualmente ai margini dell'Unione Europea, fuori da essa, ma desiderosi di entrarvi.
La Turchia è un paese candidato all'ingresso dal 1999 ( nel 1995 la Turchia firmò un trattato di adesione doganale come premessa all'adesione), avendo in corso ufficiali negoziati di adesione all'Unione. I negoziati vivono da sempre fasi alterne e si sono bloccati, per l'ennesima volta, nell'estate del 2014 sui capitoli 17 ( politica  economica e monetaria), 15 ( Energia ) e 26 (istruzione e cultura).
L'Ucraina, invece, ha firmato nel giugno del 2014, gli Accordi di Associazione con l'Unione Europea e un'intesa commerciale. Questi accordi definiscono una crescente collaborazione politica e una progressiva integrazione e liberalizzazione negli scambi commerciali ( la cui applicazione è stata rinviata al gennaio 2016).
I suddetti accordi ufficialmente non sono introduttivi all'adesione essendo uno strumento nuovo, adottato per definire i rapporti tra l'Unione e alcune ex Repubbliche Sovietiche ( Ucraina, Georgia, Moldova, con Bielorussia, Armenia ed Azerbaigian "candidati"). Certo è che il presidente ucraino Poroshenko a settembre 2014 ha dichiarato che l'Ucraina presenterà ufficialmente la sua richiesta d'adesione all'Unione Europea nel 2020.
Altrettanto chiaro è che l'opinione che i partiti di governo di questi due paesi hanno verso la libertà di stampa è molto poco evoluta.
Domenica 14 dicembre 27 giornalisti turchi del gruppo editoriale Zaman sono stati arrestati perchè accusati di minacciare la sicurezza nazionale. Il gruppo Zaman è vicino al predicatore religioso Fetullah Gullen,ex alleato, da qualche anno avversario dichiarato di Erdogan ed esiliato negli Stati Uniti.
Il presidente turco ha risposto alle critiche internazionali, dichiarando che gli arresti sono avvenuti in un quadro perfettamente legale, invitando i critici ( tra cui l'Unione Europea) a non intervenire in affari interni turchi.
Il fatto stesso che sia intervenuto il presidente, piuttosto che il responsabile della sicurezza nazionale, cioè il Ministro degli Interni, conferma l'idea che dietro questi arresti ci sia una lotta di potere tra Erdogan e i suoi oppositori, di cui questi arresti sono solo un episodio.
Registriamo che secondo CPJ ( Commitee to Protect Journalists - una organizzazione no-profit che si batte per la libertà di stampa ) la Turchia nel 2012 e nel 2013 è stata "la più grande prigione per i giornalisti".
Ai primi di dicembre l'Ucraina si è dotata di un nuovo ministero, il Ministero dell'Informazione, al cui capo è stato posto Yurij Stets, già capo del dipartimento sulla sicurezza d'informazione della Guardia Nazionale.
La nomina del nuovo Ministro è avvenuta in un Parlamento blindato, essendo passata con una votazione che riguardava l'intero Governo e non il solo nuovo Ministro. Un artificio che non può non ricordare l'uso della questione di fiducia italiana.
La motivazione ufficiale per la nascita del nuovo Ministero ( in realtà esisteva già sotto il precedente presidente Leonid Kuchma) è di poter condurre ad armi pari la guerra mediatica con la Russia, che condiziona la vita politica dello stato ucraino. Che si tratti di guerra, e non solo d'informazione, lo dimostra il profilo professionale del nuovo Ministro. Difficile sostenere che il Ministero dell'Informazione possa coesistere con un sistema democratico. Difficile pensare che i poteri, ancora incerti, del nuovo dicastero siano usati solo verso la propaganda proveniente dall'estero e non anche verso gli organi d'informazione informazione interna.
Al momento non sappiamo come finiranno le procedure di adesione dei due paesi, ma l'esperienza appresa dalla gestione della crisi economica ci insegna che niente in Europa sembra funzionare meglio del pilota automatico dell'Unione Europea.
In ogni caso consiglieremmo ai due aspiranti di affrettarsi. L'Unione si vanta di aver garantito la pace tra i paesi membri, facendone un caposaldo della sua propaganda; le prospettive di pace dei due paesi ( Crimea, separatismo russofono, i curdi e l'Isis) abbisognerebbero dei poteri taumaturgici della UE.

domenica 7 dicembre 2014

La vane speranze di Mr. "Whatever it takes"

Giovedì 4 dicembre il Consiglio Direttivo della Banca Centrale Europea ( cioè il consiglio dei presidenti delle banche centrali dei paesi aderenti all'Unione Monetaria più il Presidente stesso, il suo Vice ed altri quattro membri) si è riunita per discutere, secondo le dichiarazioni del Presidente stesso Mario Draghi " dell'acquisto di titoli di Stato e di altre attività".
La conclusione è stata che " su questa ipotesi serva ancora lavoro" , ma rimane "lo studio delle nuove misure". ( tra virgolette le dichiarazioni di Draghi).
Ho cercato sui mass-media qualche spiegazione più precisa, ma sembra che l'interesse sia concentrato sul duello all'interno del Direttivo tra varie posizioni e non sulla spiegazione ai lettori di quali temi siano stati realmente affrontati. Come sempre il focus dei mass-.media è sulla cornice e non sul soggetto del quadro, banalizzando immancabilmente ogni argomento.
In pratica ci dicono quello che sappiamo già e non ci dicono quello che non sappiamo ancora.
Così c'è chi ci spiega che quando ci sarà l'intervento non sarà direttamente sui Titoli di Stato di nuova  emissione. Essendo la BCE la Banca Centrale di uno StatoCheNonEsiste e rispondendo al principio dell'indipendenza dalla politica, mai ci saremmo aspettati che la BCE intendesse acquistare in emissione titoli di Paesi Membri, finanziando il loro debito e scatenando la guerra tra i paesi membri sulla legittimità di questo "aiuto di stato".
C'è chi ci delinea gli possibili scenari di crescente competitività delle merci tedesche sui mercati internazionali, offerta come moneta di scambio per vincere l'obiezione della Buba alle prossime mosse di Draghi. Due osservazioni al riguardo: in primo luogo, accettando la trattativa in questi termini con i tedeschi, si legittima chi pensa che Draghi agisca per salvare i paesi mediterranei, mentre la deflazione è un problema europeo.
Secondariamente, apprendendo che esiste uno yen debole, a causa delle manovre della Bank of Japan, e che, come si diceva prima, l'export tedesco vedrebbe di buon occhio un'Euro più debole, abbiamo la conferma che la svalutazione è brutta solo quando la faceva l'Italietta. E che solo quando riguarda l'Italia si chiama "competitiva", lasciando intendere un subdolo secondo fine italico che invece gli altri non hanno.
Però non c'è nessuno che ci spieghi cosa sia il Quantitative Easing, per cui siamo andati alla fonte ( o almeno una di quelle possibili) e ce lo siamo fatti spiegare dalla Bank of England.
Al di là dei tecnicismi, consultando anche il sito della FED abbiamo capito che sostanzialmente il QE rientra tra le operazioni di Mercato Aperto , con la differenza rispetto alle operazioni tradizionali che il denaro arriva direttamente sul mercato ( a istituzioni come fondi pensione, compagnie assicurative e anche banche) e non attraverso fondi messi a disposizione dalla Banca Centrale alle banche e che il tipo di titoli interessati può andare oltre i titoli di stato.
In sostanza, ciò che nessun mass-media dice è che tutto ciò serve a creare denaro. La cosa era evidente da subito, ma nessuno lo dice, si preferisce parlare di inflazione, di tasso di cambio, senza far menzione a come ci si arriva. In Italia, per gli euristi monetaristi alle vongole creare denaro è un tabù, perchè è sempre stato attribuito come vizio accessorio ai sostenitori dell'uscita dall'euro.
Bene, il QE crea denaro. Ma l'inflazione, che Draghi vuole riportare al target del 2%?
Ci facciamo aiutare da Paul Krugman per capire l'effetto esistente tra moneta ed inflazione. In "Fuori da questa crisi, adesso" leggiamo: "Le imprese non decidono di alzare i prezzi perchè l'offerta monetaria è aumentata; lo fanno perché è cresciuta la domanda relativa dei loro prodotti e sono convinte di poterlo fare senza perdere troppe vendite". Lo stesso vale per i lavoratori e il prezzo del loro lavoro ( gli stipendi). Insomma, Krugman afferma:" Se non c'è boom ( domanda - n.d.a.), non c'è inflazione; se l'economia rimane depressa, non ha senso preoccuparsi per le conseguenza inflazionistiche della creazione della moneta".
Si, però, direte  voi, Krugman è un keynesiano, è normale che dica queste cose.
Infatti, come affermano Papadia e Santini ( in "La Banca Centrale Europea") il dibattito sugli effetti che legano l'aumento della massa monetaria e livello dei prezzi è in corso dagli anni '30 e contrappone i monetaristi che "sostengono che l'effetto sui prezzi è rapido ( o addirittura immediato), completo e universale", mentre "i keynesiani controbattono che l'effetto è lento, incompleto e dipende dalle condizioni in cui si trova l'economia".
La mia imbarazzante ingenuità ( fortunatamente condivisa) mi ricorda che le teorie keynesiane hanno fatto uscire il mondo dalla Grande Depressione del 1929 però non è in grado di spiegarmi perchè non si debbano applicarle ancora di fronte alla Più Grande Depressione.
Ma alla fine, il Quantitative Easing, dove è stato applicato, ha portato gli effetti che Draghi si aspetta?
Martin Feldstein, sulla base dell'esperienza statunitense, sostiene di no.

venerdì 5 dicembre 2014

Sulla fiducia ovvero riflessioni sul Jobs Act

Ieri il Senato ha approvato con Atto 1428-B la "Delega Lavoro", quello che viene comunemente chiamato dal Governo e dalla stampa il "Jobs Act" ( chissà poi perchè in inglese?).
Alcune riflessioni e precisazioni:

1) si tratta di una Legge Delega, cioè di  un provvedimento del Parlamento che concede per un tempo limitato il potere legislativo al Governo. In forza di questo atto, il Governo ha non più soltanto, come in condizioni normali, la possibilità di avviare iniziative di legge presentando dei disegni di legge al Parlamento o di legiferare d'urgenza ( decreti legge) salvo poi conversione da parte del Parlamento.
L'art. 76 della Costituzione Italiana recita:"L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti". Fino a qui ci siamo, credo, salvo ripromettermi nei prossimi giorni di leggermi il dettaglio del testo per verificare se rispetta i criteri entro il quale la delega va fornita.
Faccio notare che l'iniziativa della Legge Delega nasce dal Governo stesso, essendo presentatori della stessa il Presidente del Consiglio Renzi e il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti.
In pratica il governo dice al parlamento: ti chiedo il permesso di fare leggi al posto tuo, però ti dico io come darmi questo permesso, cosa metterci dentro. Non è costituzionalmente vietato, però questa pratica si evidenzia come una forzatura evidente del ruolo del governo (funzione esecutiva) a scapito del parlamento (funzione legislativa), al quale si mettono le parole in bocca.

2) la "Delega Lavoro" viene approvata in via definitiva al Senato, dopo essere sottoposta al voto di fiducia, dopo che, fino a pochi giorni fa, dopo la riunione di direzione del PD, il Governo aveva escluso il suo utilizzo.
Risultato della votazione: 166 favorevoli, 122 contrari e 1 astenuto.

3) la fiducia è regolata dall'art. 94 della Costituzione, il quale afferma: " Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. ...".
Nelle democrazie parlamentari si tratta di un atto, formale o informale, con il quale il Parlamento esprime il suo governo e ne controlla il funzionamento. Un Governo che non ottiene la fiducia o al quale è stata revocata, non può rimanere in carica.
Ma nel corso della pratica parlamentare la fiducia viene posta dal Governo quale atto "accessorio" di leggi ritenute importanti dal Governo stesso: se non viene approvata la legge su cui è espressa la questione di fiducia, per analogia è come se il Governo venisse sfiduciato. Il Parlamento si assume la responsabilità di far cadere il Governo per un disaccordo su uno specifico atto politico.
Di fatto la funzione dell'istituto della fiducia risulta capovolta: il Governo mette nell'angolo il Parlamento, da forma di controllo la fiducia diventa forma di sottomissione.
Nonostante la sua rilevanza nelle vita politico-parlamentare, la questione di fiducia non è costituzionalmente prevista, ma è una  prassi consolidatasi nel tempo e in seguito inquadrata dai regolamenti della Camera e del Senato.
Concepita e praticata in questo modo, la fiducia contraddice lo stesso dettato costituzionale che, ancora all'art. 94.4, afferma: " Il voto contrario di una o d'entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni".
E' ammesso un disaccordo tra Parlamento e Governo su singole leggi; il voto contrario su una iniziativa del Governo, dopo che questo ha ottenuto la fiducia, non ne comporta la caduta.. L'applicazione della fiducia secondo i Regolamenti delle Camere, invece si.

Ricapitolando: il governo chiede al parlamento di affidargli il potere di fare le leggi, lo fa scrivendo lui stesso il testo della legge con la quale questo potere gli viene concesso e, per assicurarsi l'approvazione secondo i propri voleri, usa un atto, nato affinchè il parlamento potesse controllare il potere esecutivo, come una blindatura alla discussione, trasformando un giudizio su uno specifico atto legislativo in un giudizio complessivo sull'operato del Governo.
Così fa la riforma del lavoro il governo Renzi. Ora aspettiamo i decreti delegati.

domenica 30 novembre 2014

Il XV Congresso del Front National

Sabato 29 e domenica 30 novembre si è tenuto a Lione il XV Congresso del Front National.
Gli avvenimenti più importanti di questo congresso sono stati: l'elezione del nuovo Comitato Centrale e di altri organi del partito, la rielezione del Presidente del partito in carica e la presenza di alcuni ospiti politici stranieri.
Gli organi politici del partito erano stati scelti in precedenza in occasione del XIV Congresso svoltosi a gennaio del 2011, quello noto per la consacrazione di Marine Le Pen e della nascita del "secondo Front National".
Il FN ha attualmente 83.000 aderenti, notevolmente accresciuti rispetto ai 23.000 di tre anni fa. Possono votare solo gli aderenti che sono in regola con la quota d'iscrizione, pari, secondo i dati forniti dal vice-presidente con delega agli affari legali Jean-Francois Jalkh, a circa 42.100 iscritti.
Gli aderenti votano in maniera diretta, per corrispondenza, sia per il Comitato Centrale che per il Presidente.
Il FN non ha correnti interne, nè sono state presentate mozioni di minoranza in questa occasione, per cui l'elezione del Comitato Centrale ( 100 eletti scelti da una rosa di 400 candidati) ha anche rappresentato un indicatore della popolarità presso la base delle personalità del partito più in vista.
Era difficile non vivere questo momento come una gara tra la giovane Marion Maréchal-Le Pen ( nipote del fondatore Jean Marie Le Pen e figlia della sorella di Marine Le Pen ) e il braccio destro di Marine Le Pen e vice-presidente del partito Florian Philippot.
La divergenza delle loro opinioni ( definita "nuances") poggia su una visione della giovane Marion più liberista in economia e più conservatrice in materia sociale rispetto alla linea ufficiale del partito, mentre Philippot incarna una visione post-chevènementista ( dal nome di Jean-Pierre Chevènement, uomo politico francese passato da posizioni socialiste a altre di progressismo radicale fino a tesi prossime al gaullismo. E' sempre stato contrario all'Unione Europea. La diaspora del partito da lui fondato ha interessato anche il Front National),  "nazional-repubblicana", anti-euro e anti-Unione e vicine al gaullismo (vicinanza  peraltro rifiutata dall'UMP).
La prima posizione ottenuta da Marion Maréchal-Le Pen ( contro il quarto posto di Philippot) ha sicuramente rafforzato la sua influenza anche e soprattutto a seguito della nomina di Nicolas Bay (che condivide con lei molte posizioni) a segretario generale del partito, quindi il capo dell'organizzazione che, tramite la nomina dei segretari dipartimentali, controlla la base organizzativa del partito stesso.
Al di là di questa apparente e (limitata) sconfitta di Marine Le Pen, ad un esame più attento, si può sostenere che questo congresso ha rafforzato le posizioni della Presidente, con un ricambio radicale del personale del partito a lei favorevole.
Soprattutto ad essere ridimensionato è Bruno Gollnisch, sfidante della Le Pen nel 2011, arrivato quinto nell'elezione del CC, ma i cui sostenitori sono stati spazzati via. Risultato sorprendente soprattutto alla luce del fatto che Gollnisch poteva vantare una presenza nel vecchio comitato centrale pari al 45% e che è stato l'unico a presentare una propria lista di candidati.
Un altro segnale importante è il pessimo risultato ottenuto da Alain Jamet, cofondatore del partito, che deve abbandonare la carica di vice presidente.
Confermati Steve Briois, che ottiene anche la carica di vice-presidente agli esecutivi locali e all'inquadramento e il compagno di Marine Le Pen, Louis Aliot ( arrivato secondo nelle elezioni al CC) che ottiene da vice-presidente il dossier degli eletti e della formazione.
Tra i due sfidanti su cui i media hanno puntato la loro attenzione, bisogna ricordare che Marion Maréchal-Le Pen si è rifiutata di assumere incarichi nell'Ufficio Esecutivo, onde evitare accuse di familismo soprattutto da parte degli avversari. mentre Philippot ha mantenuto la vice-presidenza con delega alla strategia e alla comunicazione.
D'altronde che Marine Le Pen dovesse rafforzare le sue posizioni, soprattutto organizzative, era condizione necessaria per guidare il partito attraverso i prossimi appuntamenti elettorali del 2015 ( dipartimenti e regioni) fino all'appuntamento delle presidenziali nel 2017, elezioni delle quali la Le Pen dichiara già spavaldamente che il FN parteciperà al ballottaggio.
L'influenza dell'anziano Jean-Marie Le Pen, presente in tutti gli organi del partito in qualità di Presidente Onorario, è talvolta sopravvalutata, soprattutto per la capacità del fondatore di coinvolgere emotivamente la base, ma trova limitata espressione tra i quadri del partito.
Come era assolutamente fuori discussione ( non erano presenti candidature alternative) , Marine Le Pen è stata rieletta Presidente con 22.329 voti e solo 17 schede nulle.
Nel discorso di chiusura del congresso Marine Le Pen ha fatto ricorso a toni decisi, talvolta visionari, ma molto attenti, collocando il suo partito dentro la storia e la cultura della Repubblica Francese. Ha difeso gli ideali di una Repubblica una e indivisibile, sociale e laica, valori disattesi dai gollisti dell'UMP e dai socialisti del PS, mai nominati separatamente a voler sottolineare la loro identità di vedute e di responsabilità. Ha addossato ad altri l'accusa di estremismo, posizionando il FN come baluardo dell'ultrastatalismo e dell'ultraliberismo.
Non ha mancato infine di fare richiami all'insicurezza e all'immigrazione.
Infine, il Congresso è stata l'occasione per un incontro con esponenti stranieri di partiti alleati al FN, ospitati come oratori al congresso. La maggioranza di questi sono partiti dell'estrema destra alleati del FN nella battaglia dentro e contro le istituzioni europee. Particolare importanza ha avuto la presenza di Andrei Issaiev, vice-presidente della Duma russa e membro di Russia Unita, il partito di Vladimir Putin. La relazione tra i due partiti è recente e questa era la prima volta di un ospite russo ad un congresso del Front National. Issaiev ha attaccato i burocrati dell'Unione Europea," burattini degli Stati Uniti", denunciato  il "colpo di stato anticostituzionale" in atto in Ucraina e le sanzioni commerciali contro la Russia e ricordato l'alleanza di vecchia data tra la Francia e la Russia.
Marine Le Pen ha approfittato dell'occasione per chiarire che per il FN l'Europa va dall'Atlantico agli Urali e non dagli Stati Uniti a Bruxelles.
Tutti gli interventi degli altri ospiti ( Matteo Salvini della Lega Nord,Geert Wilders del PVV olandese, Hans-Christian Strache del FPO austriaco, Philip Clays del Vlaams Belang fiammingo, Jiri Janecek del OK Strana ceco e Krasimir Karakachanov del VMRO bulgaro) si sono caratterizzati per un forte antiamericanismo, una russofilia accentuata e una decisa opposizione all'immigrazione.
Da ricordare che il 23 novembre il FN ha ricevuto un finanziamento di 9 milioni di euro dalla filiale russa della First Czech-Russian Bank.
Secondo Mediapart, Cotélec, un micro partito di proprietà di Jean Marie Le Pen, avrebbe beneficiato in aprile di 2 milioni di euro provenienti da un conto cipriota e depositati su un conto svizzero.Il conto cipriota è riconducibile a Yuri Kudimov, ex agente del KGB, riconvertitosi banchiere dentro la banca statale russa VEB Capital.
Il legame tra Russia e FN dimostra così di essere piuttosto radicato.

venerdì 28 novembre 2014

Il piano di investimenti di Juncker: come modificarlo radicalmente

Il post che segue è la traduzione dall'inglese di un articolo scritto dagli economisti Mariana Mazzucato e Caetano Penna e pubblicato in data 26 novembre 2014 in lingua originale sul blog di Mariana Mazzucato 


Oggi il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha annunciato un piano di investimenti per l'Europa di 315 miliardi di €, che avranno un effetto leva sul finanziamento proveniente dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) attraverso una nuova entità finanziaria: il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici.

Oh, ma aspettate. Non si tratta realmente di un piano di investimenti di 315 miliardi di euro. Ad un esame più ravvicinato la UE sta solo pianificando di riallocare denaro esistente in un nuovo fondo ( 21 mld. € da stanziamenti esistenti e la BEI, essendo una parte di esso denaro che già stava andando al programma di investimenti in innovazione Horizon 2020).  L'Unione Europea allora spera di ottenere un effetto leva pari a 15 per trasformare questi 21 mld. di € in investimenti per 315 mld. €.

Questo non accadrà mai. Per la stessa ragione per la quale un altro strumento, il Meccanismo di Stabilità Europeo (ESM - acronimo in inglese - nota del traduttore) non ha mai ottenuto molta leva dagli stati membri - essendo agli stessi stati richiesto di continuare un programma di austerità da matti. Alla base di tutto, 315 mld. € sarebbero sufficienti? Negli Stati Uniti, dopo la crisi finanziaria, il Governo ha investito il 4% del PIL (787 mld. $ nel American Recovery and Reinvestement Act del 2009, che ha anche indirizzato investimenti in aree verdi tramite agenzie come ARPA-E). Paragonato a questo, anche se Juncker riuscisse a raccogliere 315 miliardi di €, questo sarebbe ancora non sufficiente. Questa è una enorme opportunità persa perchè, con un serio impegno di investimento, la UE potrebbe oggi essere sulla strada della ripresa.

Un aspetto positivo del piano è il coinvolgimento della Banca Europea per gli Investimenti. Mentre abitualmente l'attenzione è solitamente sulla BCE, e la sua impossibilità fino ad ora di comportarsi come una vera banca centrale (essendo prestatore di ultima istanza e permettendo l'acquisto di titoli di stato), l'attenzione adesso sulla BEI significa, si spera, che si capisce che, anche quando dovesse partire il "quantitative easing" (QE) in Europa, questo non sarà sufficiente. I finanziamenti devono essere "diretti" verso l'economia reale - cosicchè il nuovo denaro creato non si fermi soltanto nei forzieri delle banche. Lasciamo da parte per un momento il reale effetto leva. Perchè è bene cominciare a preoccuparsi delle BEI e non solo della BCE?

In un momento in cui la crescita nelle economie europee sta vacillando, i bilanci nazionali sono limitati da misure di austerità, agli investitori privati mancano"gli spiriti animali" keynesiani - e, allo stesso tempo, le soluzioni a problemi pressanti come l'invecchiamento, la disoccupazione giovanile e i cambiamenti climatici, richiedono un'enorme somma di nuovi investimenti. L'Europe ha bisogno che la BEI diventi parte del selezionato gruppo di Banche d'Investimento Statale (SIB) che in maniera crescente promuovono investimenti strategici che sono rivolti ad aree specifiche, con lo scopo di promuovere una crescita intelligente ( trainata dall'innovazione ), sostenibile e inclusiva.

Come spieghiamo nel dettaglio in un articolo scientifico recente, la rafforzata attività delle SIB è una forza di contrasto alla ritirata del settore finanziario privato dal finanziare l'economia reale. Il "corto termismo" del sistema finanziario è stato accompagnato dalla crescente finanziarizzazione delle imprese , i dipartimenti finanziari delle quali sono diventati in maniera crescente centri di profitto, a detrimento delle attività operative di base. La crisi finanziaria del 2007 ha evidenziato questi processi in corso da decenni, rivelando la fragilità dei mercati finanziari speculativi e delle imprese finanziarizzate.

Gli anni recenti hanno anche visto le Banche Statali d'Investimento incrementare il loro ruolo in aree dove la finanza privata ha paura di incamminarsi. Questo è evidentissimo nell'emergente economia "verde"; investimenti su scala planetaria finalizzati alle sfide globali del limitare le emissioni del carbone. Secondo i dati compilati dalla Climate Policy Iniziative ( Figura 1) nel 2012, la quota delle istituzioni finanziarie per lo sviluppo ( cioè SIB) nel "panorama delle finanza per il clima" era del 34% ( la più alta quota di ogni singolo tipo di attore), paragonata al 29% degli sviluppatori di progetti ( incluse le utilities di proprietà pubblica), il 19% degli attori aziendali, il 9% dei nuclei familiari, il 6% di tutti i tipi di istituzioni finanziarie e il 3% dei governi ( investimenti da bilanci governativi). Dati tratti da Bloomberg New Energy Finance mostrano che la tedesca KfW, la China Development Bank e la BNDES sono le più attive banche statali d'investimento impegnate in questo tipo di finanza per l'energia verde "orientata all'obiettivo" (Fig. 1), come infatti abbiamo sentito recentemente alla conferenza sulla Finanza orientata all'obiettivo per l'innovazione che abbiamo organizzato a Londra quest'anno. Altre aree dove le SIB promuovono investimenti "orientati all'obiettivo" includono la salute e il settore farmaceutico, il clima e la protezione dell'ambiente (oltre l'energia verde), l'integrazione regionale e l'inclusione di comunità periferiche nel sistema finanziario.

Figura 1: le banche statali d'investimento ("development finance institutions") sono la singola più importante fonte di finanziamento per progetti di riduzione e adattamento dei cambiamenti climatici

Fonte: basata sui dati da Climate Policy Initiative


Figura 2: i finanziamenti "orientati all'obiettivo" delle banche statali d'investimento per progetti di energia verde
Fonte: basata sui dati di Bloomberg New Energy Finance (BNEF)

La BEI ha il potenziale per diventare una delle più importanti SIB "orientata all'obiettivo". Infatti noi crediamo che le SIB siano molto appropriate come fonti di finanziamento per progetti che affrontano queste nuove sfide (o obiettivi). Perchè queste sono istituzioni bancarie, sono in grado di accedere alla praticabilità economica dei progetti, che è cruciale se nuove tecnologie e progetti innovativi devono sostituire quelli vecchi. Inoltre, le SIB hanno fornito tradizionalmente finanziamenti a lungo termine ( per progetti a intensità di capitale, per esempio) e pazienti finanziamenti a lungo termine impegnati sono cruciali per rendere economicamente fattibili nuovi progetti orientati all'obiettivo. Le istituzioni bancarie sono anche ben posizionate per coordinare i portatori di interessi rispetto all'azienda, dal momento che parte del processo bancario è stabilire relazioni e costruire una rete con una varietà di attori ( da funzionari governativi ad attori aziendali a consumatori). Il fatto che le SIB abbiano un vasto portafoglio di strumenti di finanziamento ( capitale, prestiti, finanziamenti a fondo perduto, etc...) consente loro di abbinare il finanziamento più appropriato al progetto, sia che sia incrementale sia che sia radicale ( per esempio, capitale o contratti di rischio per l'innovazione radicale, prestiti per progetti di innovazione incrementale, finanziamenti a fondo perduto per la Ricerca e Sviluppo visionaria). Infine, le SIB hanno tradizionalmente svolto i loro ruoli in coordinamento con politiche governative, e nuove missioni potrebbero potenzialmente costruirsi su questo importante nodo della rete governativa.
Juncker ha fatto un passo nella direzione giusta parlando di investimento e crescita, e non solo riforme strutturali. Inoltre ha fatto un passo corretto nel mettere la BEI al centro. L'investimento è ciò di cui l'Eurozona ha disperatamente bisogno, non l'austerità della quale abbiamo sentito parlare sin dall'inizio della crisi finanziaria. Ma se vuole che questa strategia funzioni, deve supportarla concretamente e con convinzione. Aumentare gli investimenti diretti e attribuire alla BEI una strategia che vada oltre il sistemare "i fallimenti del mercato" per massimizzare l'impatto di trasformazione degli investimenti pubblici nel dar forma e creare i mercati.


domenica 23 novembre 2014

Globalizzazione, democrazia e partiti no-euro

Il fenomeno sociale ed economico che ha dominato gli ultimi decenni è stato sicuramente la globalizzazione. Essa ha portato ad una nuova civiltà dove le società sono strettamente interconnesse.
Interconnessione che si manifesta più visibilmente nel fenomeno delle moderne tecnologie d'informazione, ma che trova senz'ombra di dubbio il proprio motore nell'organizzazione delle grandi imprese multinazionali, nella liberalizzazione del commercio, nella diffusione globale di modelli culturali di massa e fonti d'informazione omologate e controllate da pochi centri.
Spesso questo fenomeno viene presentato come una inevitabile evoluzione della storia, un processo "senza alternative"  ( quest'ultimo tema della politica introdotto nell'agenda politica soprattutto alla Lady di Ferro, Margareth Thatcher ), secondo il quale, destino dell'umanità è di vivere in un unico mondo privo di divisioni. Tralasciando le opinioni e ogni giudizio di valore circa la desiderabilità e la dimostrabilità di tale visione teleologica del percorso dell'umanità, analizzeremo invece quali sono i fenomeni "facilitanti" di tale percorso.
In primo luogo i difensori acritici della globalizzazione, scaricano la responsabilità principalmente sulle logiche dell'economia, che funzionerebbe come una forza scatenante ( ma soprattutto scatenata ) di altri fenomeni, grazie soltanto al dispiegarsi delle sue immanenti leggi naturali.
Va da sé che opporsi alla Natura, oltre che antimoderno e antistorico, rischia di essere soprattutto inutile.
In realtà, come concordano due osservatori attenti e critici come Stiglitz e Gallino, pur partendo da formazioni culturali e politiche diverse, il processo della globalizzazione degli ultimi decenni è stato dettato dai cambiamenti imposti dalla politica alle regole del gioco, con la liberalizzazione dei flussi dei capitali e delle merci, imposta seguendo l'ideologia neoliberale, a forza di crisi finanziarie e ristrutturazioni politico-economiche guidate dall'FMI. La politica, quindi, e non l'economia ha promosso la globalizzazione.
Il risultato è stato apparentemente un boomerang, con l'innegabile, ma non incolpevole, ridimensionamento del ruolo della politica come guida della società. Qui però bisogna stare attenti al piano "geografico" su quale si gioca, perchè in ultima analisi ad essere duramente colpita è stata soprattutto l'istituzione dove, nella seconda metà del XX secolo, si era manifestata in maniera più evoluta e compiuta la democrazia: lo Stato Nazionale.
Occorre quindi precisare che a risultare sconfitta non è stata la politica, intesa come potere, ma la politica intesa nella sua espressione nazionale. Il potere si è trasferito su un "piano" più alto.
Hanno cominciato ad essere imposti agli Stati Nazionali "vincoli esterni", proposti da organismi caratterizzati dalla scarsa o nulla rappresentatività democratica , i quali hanno cambiato il volto di intere società. Facciamo un breve elenco dei risultati: riduzione dell'intervento dello Stato, soprattutto nella sua forma più recente di Welfare State, privatizzazioni, liberalizzazione dei capitali e dominio dei mercati, precarizzazione del lavoro, crescita della diseguaglianza e polarizzazione della ricchezza.
Spesso il noto filosofo e sociologo Zygmunt Bauman nelle sue conferenze parla di questo fenomeno come di una separazione tra potere e politica. Personalmente, preferisco parlare di avvenuta separazione tra potere e sovranità. La sovranità, nazionale e popolare, è stata svuotata del suo potere.
Abbiamo vissuto e stiamo vivendo un processo di "esternalizzazione del potere", secondo il quale esso si colloca al di fuori delle comunità sulle quali esso si applica.
Vediamo la descrizione di questo fenomeno dalle parole di Zygmunt Bauman ( pag. XXII e XXIII di "La società sotto assedio"): "Proprio come allora, le odierne istituzioni di controllo democratico, politico ed etico, territorialmente confinate e ancorate al suolo come sono, non possono minimamente contrastare la finanza, il capitale e il commercio globali, sempre più extraterritoriali e fluttuanti."
In questa visione possiamo inserire la nascita e lo sviluppo della Comunità Economica Europea prima e dell'Unione Europea dopo.
Mettiamo brevemente alla prova le istituzioni europee, per capirne la natura e le funzioni.
La nuova realtà europea potrebbe essere vista come un "corpo intermedio", che si giustifica come reazione al potere economico extra-nazionale, un tentativo volto a tutelare i cittadini europei di fronte al fiume in piena della globalizzazione, un nuovo confine entro il quale riattivare i diritti politici, sociali ed economici messi sotto tiro dal potere economico globale.
Tale speranza ha però vita breve: in primo luogo appare chiaro come le sue stesse dimensioni intermedie ne vanificherebbero gli sforzi regolatori su un capitale che si muove da tempo su orizzonti più ampi e superiori.
Ma a vanificare alla radice tale speranza interviene l'analisi storica del realizzarsi dell'Unione Europea e la conseguente introduzione della Moneta Unica.
Applicando lo schema di Bauman dovremmo aspettarci che a promuovere le istituzioni europee a sua tutela fosse stata la politica democratica, quindi con ampio e motivato consenso dei cittadini elettori. Il vizio originario sta proprio nel fatto che sono state, invece, le stesse elites economiche nazionali a proporre e sostenere l'introduzione di istituzioni extra-territoriali, con il dichiarato vizio d'origine del "vincolo esterno", come uno strumento al loro servizio.
Numerose sono le testimonianze e le ammissioni in tal senso dei protagonisti della costruzione dell'Unione Europea. Tra questi vorrei ricordare Guido Carli ( firmatario del Trattato di Maastricht ) che nel suo libro di memorie del 1996 (" Cinquant'anni di vita italiana") a pagina 406 scrive:" Per parte mia, ho informato la mia azione all'idea che per il nostro Paese la presenza di un vincolo giuridico internazionale avesse una funzione positiva agli effetti del ripristino di una sana finanza pubblica, ritenendo, pessimisticamente, che senza questo obbligo difficilmente la nostra classe politica avrebbe mutato indirizzo".
Per inciso, vale la pena di ricordare che lo stesso Carli sostenne "la più completa autonomia della Banca d'Italia" presentando "disegni di legge con i quali viene munita del potere di determinare senza concorso del Tesoro i tassi ufficiali  e con i quali si rescinde ogni legame con il Tesoro dal quale possa derivare l'obbligo di finanziarne le occorrenze...". Insomma, il famoso divorzio Tesoro-Banca d'Italia, a seguito del quale la banca centrale italiana cessa di essere sottoposta ad ogni forma di controllo/legittimazione politica e il Ministero del Tesoro cessa di avere il controllo della politica monetaria.
E' fatto notorio e consolidato che lo strumento operativo principe che le istituzioni europee si sono date per attuare le loro politiche sia l'Euro ( per comprenderne i motivi e le dinamiche rinvio a chi ne sa più di me in materia).
Dopo decenni di univoca ideologia pro-euro, negli ultimi tempi si è aperto un dibattito sull'uscita dall'Euro che ha trovato sponda e sostenitori politici in alcuni partiti, collocati prevalentemente sull'ala destra dello schieramento politico. Alcuni esponenti di sinistra italiani hanno cominciato ad esprimere opinioni di critica all'Euro, ma in realtà nessun partito della sinistra ha assunto tale prospettiva nel suo programma.
I più noti partiti apertamente no-euro sono il Front National ( in Francia ), la Lega Nord e Fratelli d'Italia - Alleanza Nazionale ( in Italia ), mentre il Movimento 5 Stelle ondeggia a seconda dei momenti, ma nel suo Programma nessuna delle 5 Stelle è dedicata all'Euro e alle istituzioni europee.
Se è vero lo scenario descritto prima sulle dinamiche che coinvolgono potere economico e democratico, appare evidente l'inadequatezza della risposta indicata dai suddetti partiti per il loro dichiarato nazionalismo ( la Lega Nord ha assunto atteggiamenti nazionalisti da poco, dopo essere stata per lungo tempo anti-nazionale, secessionista e/o federalista a seconda del momento politico e della sua collocazione rispetto al governo nazionale).
Una risposta che porta con sé la ri-valorizzazione delle istituzioni nazionali, è destinata ad essere inefficace, perchè fa riferimento ad istituzioni oramai de-facto svuotate e non aiuta minimamente a ridefinire un nuovo assetto istituzionale realmente capace di incidere sulle dinamiche reali che influiscono sulle comunità di persone nel contesto globale e a rivitalizzare le istituzioni democratiche.
Chiudo con una piccola e ovvia riflessione: la delocalizzazione, la crescita della disuguaglianza, la rapacità del capitale, la distruzione dell'ambiente, purtroppo hanno luogo anche negli Stati Uniti, con altri assetti istituzionali. Con questo intendo dire che il problema è più ampio e in Europa ha trovato una sua forma specifica, ma la sua natura travalica i confini dell'Europa.
Perchè sia parte di una più ampia battaglia sulla democrazia e sulla natura delle moderne istituzioni politiche auspicherei vivamente una uscita dall'Euro non nazionalistica.