mercoledì 31 dicembre 2014

Buon anno a Lituania ed Albania

Con un giorno d'anticipo facciamo gli auguri alla Lituania che dal 1 gennaio 2015 adotterà l'Euro, divenendo il diciannovesimo membro dell'Unione Europea Monetaria.
Il giorno dell'ufficializzazione di tale evento, il 23 luglio 2014, il presidente del Consiglio della UE, l'italiano Sandro Gozi, ebbe a dichiarare: " E' la dimostrazione della persistente attrattiva del progetto della moneta unica e della sua rilevanza per il futuro della comunità".
Non mi stupisce l'uso della retorica in una occasione del genere, ma continuo a non capire la volontà di appartenere ad un tale Club delle Nazioni più Depresse.
Un altro paese che freme dalla voglia di vincolare la sua politica monetaria e fiscale, abbandonando l'immorale pratica delle svalutazioni esterne per dedicarsi alla pratica delle svalutazioni interne.
Un altro paese che affida alla manifesta incapacità della BCE il mandato di gestire il suo tasso d'inflazione, da un anno e mezzo sotto il livello obiettivo del 2%.
Un altro paese che, in caso di shock esterno, credendosi protetto dalla credibilità e solidità della moneta unica di fatto agevolerà il lavoro degli speculatori che si concentreranno sui tassi.
Un altro paese che ha deciso di combattere la disoccupazione con l'emigrazione dei suoi abitanti, con una popolazione in calo da 3,4 milioni del 2004 a 2,95 milioni del 2014.
Un altro paese che ha deciso di vivere nel cono d'ombra dell'economia tedesca, seconda nazione per importanza nell'import di un paese con una bilancia commerciale costantemente negativa da anni, con un saldo delle partite correnti raramente in attivo dall'inizio della crisi nel 2008.
O forse, semplicemente, un altro paese che interpreta il concetto della solidarietà e collaborazione economica tra le nazioni aderenti alla UE come proposto dal premier albanese Edi Rama.
Di fronte al presidente di turno del Consiglio dell'Unione Europea, il premier italiano Matteo Renzi, il primo ministro albanese invita gli imprenditori italiani ad investire in Albania perchè le tasse sono al 15% e non ci sono i sindacati.
Nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi, il neo candidato all'ingresso nella UE ci ricorda in tal modo i principi sui quali si basa il più grande mercato interno del mondo.
Che Edi Rama sia il segretario del Partito Socialista d'Albania, poi, non può certo scandalizzare chi ha appena assistito alla cancellazione dell'art.18 dello Statuto dei Lavoratori ad opera del segretario del partito erede del Partito Comunista Italiano.
Come l'Unione Europea intenda l'integrazione europea ce lo evidenzia, inoltre, la nuova legge sull'iva sugli acquisti digitali ( quindi beni non materiali ) effettuati in paesi esteri aderenti alla UE, che entrerà anch'essa in vigore il 1 gennaio 2015.
In base alla nuova legge, al consumatore finale sarà applicata l'aliquota iva del paese in cui è residente e non più quella del paese di residenza dell'impresa che vende il servizio o bene digitale.
Vengono così tutelati sia i governi che hanno deciso di spremere con una tassazione non progressiva i propri cittadini, sia i governi che praticano dumping fiscale, non comportando questa norma nessuna variazione nelle aliquote fiscali praticate all'imprese residenti in paradisi fiscali dell'Unione.
Buon anno a tutti!


venerdì 19 dicembre 2014

Questioni sull'allargamento dell'Unione Europea

Devo ammetterlo: non mi è facile collocare geograficamente, storicamente e geopoliticamente rispetto all'Europa due paesi come l'Ucraina e la Turchia. Spontaneamente, sulla scorta degli ormai lontanissimi studi di geografia, direi che la Turchia è in Asia e l'Ucraina in Europa ( dato confermato anche dalla classificazione dell'ONU ). Quanto senta intimamente europea l'Ucraina ( il cui nome pare possa significare "sul confine"  ) devo confessare, sinceramente non lo so, senza voler scomodare valutazioni di tipo culturale e storico.
Quel che è certo è che entrambi i paesi sono attualmente ai margini dell'Unione Europea, fuori da essa, ma desiderosi di entrarvi.
La Turchia è un paese candidato all'ingresso dal 1999 ( nel 1995 la Turchia firmò un trattato di adesione doganale come premessa all'adesione), avendo in corso ufficiali negoziati di adesione all'Unione. I negoziati vivono da sempre fasi alterne e si sono bloccati, per l'ennesima volta, nell'estate del 2014 sui capitoli 17 ( politica  economica e monetaria), 15 ( Energia ) e 26 (istruzione e cultura).
L'Ucraina, invece, ha firmato nel giugno del 2014, gli Accordi di Associazione con l'Unione Europea e un'intesa commerciale. Questi accordi definiscono una crescente collaborazione politica e una progressiva integrazione e liberalizzazione negli scambi commerciali ( la cui applicazione è stata rinviata al gennaio 2016).
I suddetti accordi ufficialmente non sono introduttivi all'adesione essendo uno strumento nuovo, adottato per definire i rapporti tra l'Unione e alcune ex Repubbliche Sovietiche ( Ucraina, Georgia, Moldova, con Bielorussia, Armenia ed Azerbaigian "candidati"). Certo è che il presidente ucraino Poroshenko a settembre 2014 ha dichiarato che l'Ucraina presenterà ufficialmente la sua richiesta d'adesione all'Unione Europea nel 2020.
Altrettanto chiaro è che l'opinione che i partiti di governo di questi due paesi hanno verso la libertà di stampa è molto poco evoluta.
Domenica 14 dicembre 27 giornalisti turchi del gruppo editoriale Zaman sono stati arrestati perchè accusati di minacciare la sicurezza nazionale. Il gruppo Zaman è vicino al predicatore religioso Fetullah Gullen,ex alleato, da qualche anno avversario dichiarato di Erdogan ed esiliato negli Stati Uniti.
Il presidente turco ha risposto alle critiche internazionali, dichiarando che gli arresti sono avvenuti in un quadro perfettamente legale, invitando i critici ( tra cui l'Unione Europea) a non intervenire in affari interni turchi.
Il fatto stesso che sia intervenuto il presidente, piuttosto che il responsabile della sicurezza nazionale, cioè il Ministro degli Interni, conferma l'idea che dietro questi arresti ci sia una lotta di potere tra Erdogan e i suoi oppositori, di cui questi arresti sono solo un episodio.
Registriamo che secondo CPJ ( Commitee to Protect Journalists - una organizzazione no-profit che si batte per la libertà di stampa ) la Turchia nel 2012 e nel 2013 è stata "la più grande prigione per i giornalisti".
Ai primi di dicembre l'Ucraina si è dotata di un nuovo ministero, il Ministero dell'Informazione, al cui capo è stato posto Yurij Stets, già capo del dipartimento sulla sicurezza d'informazione della Guardia Nazionale.
La nomina del nuovo Ministro è avvenuta in un Parlamento blindato, essendo passata con una votazione che riguardava l'intero Governo e non il solo nuovo Ministro. Un artificio che non può non ricordare l'uso della questione di fiducia italiana.
La motivazione ufficiale per la nascita del nuovo Ministero ( in realtà esisteva già sotto il precedente presidente Leonid Kuchma) è di poter condurre ad armi pari la guerra mediatica con la Russia, che condiziona la vita politica dello stato ucraino. Che si tratti di guerra, e non solo d'informazione, lo dimostra il profilo professionale del nuovo Ministro. Difficile sostenere che il Ministero dell'Informazione possa coesistere con un sistema democratico. Difficile pensare che i poteri, ancora incerti, del nuovo dicastero siano usati solo verso la propaganda proveniente dall'estero e non anche verso gli organi d'informazione informazione interna.
Al momento non sappiamo come finiranno le procedure di adesione dei due paesi, ma l'esperienza appresa dalla gestione della crisi economica ci insegna che niente in Europa sembra funzionare meglio del pilota automatico dell'Unione Europea.
In ogni caso consiglieremmo ai due aspiranti di affrettarsi. L'Unione si vanta di aver garantito la pace tra i paesi membri, facendone un caposaldo della sua propaganda; le prospettive di pace dei due paesi ( Crimea, separatismo russofono, i curdi e l'Isis) abbisognerebbero dei poteri taumaturgici della UE.

domenica 7 dicembre 2014

La vane speranze di Mr. "Whatever it takes"

Giovedì 4 dicembre il Consiglio Direttivo della Banca Centrale Europea ( cioè il consiglio dei presidenti delle banche centrali dei paesi aderenti all'Unione Monetaria più il Presidente stesso, il suo Vice ed altri quattro membri) si è riunita per discutere, secondo le dichiarazioni del Presidente stesso Mario Draghi " dell'acquisto di titoli di Stato e di altre attività".
La conclusione è stata che " su questa ipotesi serva ancora lavoro" , ma rimane "lo studio delle nuove misure". ( tra virgolette le dichiarazioni di Draghi).
Ho cercato sui mass-media qualche spiegazione più precisa, ma sembra che l'interesse sia concentrato sul duello all'interno del Direttivo tra varie posizioni e non sulla spiegazione ai lettori di quali temi siano stati realmente affrontati. Come sempre il focus dei mass-.media è sulla cornice e non sul soggetto del quadro, banalizzando immancabilmente ogni argomento.
In pratica ci dicono quello che sappiamo già e non ci dicono quello che non sappiamo ancora.
Così c'è chi ci spiega che quando ci sarà l'intervento non sarà direttamente sui Titoli di Stato di nuova  emissione. Essendo la BCE la Banca Centrale di uno StatoCheNonEsiste e rispondendo al principio dell'indipendenza dalla politica, mai ci saremmo aspettati che la BCE intendesse acquistare in emissione titoli di Paesi Membri, finanziando il loro debito e scatenando la guerra tra i paesi membri sulla legittimità di questo "aiuto di stato".
C'è chi ci delinea gli possibili scenari di crescente competitività delle merci tedesche sui mercati internazionali, offerta come moneta di scambio per vincere l'obiezione della Buba alle prossime mosse di Draghi. Due osservazioni al riguardo: in primo luogo, accettando la trattativa in questi termini con i tedeschi, si legittima chi pensa che Draghi agisca per salvare i paesi mediterranei, mentre la deflazione è un problema europeo.
Secondariamente, apprendendo che esiste uno yen debole, a causa delle manovre della Bank of Japan, e che, come si diceva prima, l'export tedesco vedrebbe di buon occhio un'Euro più debole, abbiamo la conferma che la svalutazione è brutta solo quando la faceva l'Italietta. E che solo quando riguarda l'Italia si chiama "competitiva", lasciando intendere un subdolo secondo fine italico che invece gli altri non hanno.
Però non c'è nessuno che ci spieghi cosa sia il Quantitative Easing, per cui siamo andati alla fonte ( o almeno una di quelle possibili) e ce lo siamo fatti spiegare dalla Bank of England.
Al di là dei tecnicismi, consultando anche il sito della FED abbiamo capito che sostanzialmente il QE rientra tra le operazioni di Mercato Aperto , con la differenza rispetto alle operazioni tradizionali che il denaro arriva direttamente sul mercato ( a istituzioni come fondi pensione, compagnie assicurative e anche banche) e non attraverso fondi messi a disposizione dalla Banca Centrale alle banche e che il tipo di titoli interessati può andare oltre i titoli di stato.
In sostanza, ciò che nessun mass-media dice è che tutto ciò serve a creare denaro. La cosa era evidente da subito, ma nessuno lo dice, si preferisce parlare di inflazione, di tasso di cambio, senza far menzione a come ci si arriva. In Italia, per gli euristi monetaristi alle vongole creare denaro è un tabù, perchè è sempre stato attribuito come vizio accessorio ai sostenitori dell'uscita dall'euro.
Bene, il QE crea denaro. Ma l'inflazione, che Draghi vuole riportare al target del 2%?
Ci facciamo aiutare da Paul Krugman per capire l'effetto esistente tra moneta ed inflazione. In "Fuori da questa crisi, adesso" leggiamo: "Le imprese non decidono di alzare i prezzi perchè l'offerta monetaria è aumentata; lo fanno perché è cresciuta la domanda relativa dei loro prodotti e sono convinte di poterlo fare senza perdere troppe vendite". Lo stesso vale per i lavoratori e il prezzo del loro lavoro ( gli stipendi). Insomma, Krugman afferma:" Se non c'è boom ( domanda - n.d.a.), non c'è inflazione; se l'economia rimane depressa, non ha senso preoccuparsi per le conseguenza inflazionistiche della creazione della moneta".
Si, però, direte  voi, Krugman è un keynesiano, è normale che dica queste cose.
Infatti, come affermano Papadia e Santini ( in "La Banca Centrale Europea") il dibattito sugli effetti che legano l'aumento della massa monetaria e livello dei prezzi è in corso dagli anni '30 e contrappone i monetaristi che "sostengono che l'effetto sui prezzi è rapido ( o addirittura immediato), completo e universale", mentre "i keynesiani controbattono che l'effetto è lento, incompleto e dipende dalle condizioni in cui si trova l'economia".
La mia imbarazzante ingenuità ( fortunatamente condivisa) mi ricorda che le teorie keynesiane hanno fatto uscire il mondo dalla Grande Depressione del 1929 però non è in grado di spiegarmi perchè non si debbano applicarle ancora di fronte alla Più Grande Depressione.
Ma alla fine, il Quantitative Easing, dove è stato applicato, ha portato gli effetti che Draghi si aspetta?
Martin Feldstein, sulla base dell'esperienza statunitense, sostiene di no.

venerdì 5 dicembre 2014

Sulla fiducia ovvero riflessioni sul Jobs Act

Ieri il Senato ha approvato con Atto 1428-B la "Delega Lavoro", quello che viene comunemente chiamato dal Governo e dalla stampa il "Jobs Act" ( chissà poi perchè in inglese?).
Alcune riflessioni e precisazioni:

1) si tratta di una Legge Delega, cioè di  un provvedimento del Parlamento che concede per un tempo limitato il potere legislativo al Governo. In forza di questo atto, il Governo ha non più soltanto, come in condizioni normali, la possibilità di avviare iniziative di legge presentando dei disegni di legge al Parlamento o di legiferare d'urgenza ( decreti legge) salvo poi conversione da parte del Parlamento.
L'art. 76 della Costituzione Italiana recita:"L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti". Fino a qui ci siamo, credo, salvo ripromettermi nei prossimi giorni di leggermi il dettaglio del testo per verificare se rispetta i criteri entro il quale la delega va fornita.
Faccio notare che l'iniziativa della Legge Delega nasce dal Governo stesso, essendo presentatori della stessa il Presidente del Consiglio Renzi e il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti.
In pratica il governo dice al parlamento: ti chiedo il permesso di fare leggi al posto tuo, però ti dico io come darmi questo permesso, cosa metterci dentro. Non è costituzionalmente vietato, però questa pratica si evidenzia come una forzatura evidente del ruolo del governo (funzione esecutiva) a scapito del parlamento (funzione legislativa), al quale si mettono le parole in bocca.

2) la "Delega Lavoro" viene approvata in via definitiva al Senato, dopo essere sottoposta al voto di fiducia, dopo che, fino a pochi giorni fa, dopo la riunione di direzione del PD, il Governo aveva escluso il suo utilizzo.
Risultato della votazione: 166 favorevoli, 122 contrari e 1 astenuto.

3) la fiducia è regolata dall'art. 94 della Costituzione, il quale afferma: " Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. ...".
Nelle democrazie parlamentari si tratta di un atto, formale o informale, con il quale il Parlamento esprime il suo governo e ne controlla il funzionamento. Un Governo che non ottiene la fiducia o al quale è stata revocata, non può rimanere in carica.
Ma nel corso della pratica parlamentare la fiducia viene posta dal Governo quale atto "accessorio" di leggi ritenute importanti dal Governo stesso: se non viene approvata la legge su cui è espressa la questione di fiducia, per analogia è come se il Governo venisse sfiduciato. Il Parlamento si assume la responsabilità di far cadere il Governo per un disaccordo su uno specifico atto politico.
Di fatto la funzione dell'istituto della fiducia risulta capovolta: il Governo mette nell'angolo il Parlamento, da forma di controllo la fiducia diventa forma di sottomissione.
Nonostante la sua rilevanza nelle vita politico-parlamentare, la questione di fiducia non è costituzionalmente prevista, ma è una  prassi consolidatasi nel tempo e in seguito inquadrata dai regolamenti della Camera e del Senato.
Concepita e praticata in questo modo, la fiducia contraddice lo stesso dettato costituzionale che, ancora all'art. 94.4, afferma: " Il voto contrario di una o d'entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni".
E' ammesso un disaccordo tra Parlamento e Governo su singole leggi; il voto contrario su una iniziativa del Governo, dopo che questo ha ottenuto la fiducia, non ne comporta la caduta.. L'applicazione della fiducia secondo i Regolamenti delle Camere, invece si.

Ricapitolando: il governo chiede al parlamento di affidargli il potere di fare le leggi, lo fa scrivendo lui stesso il testo della legge con la quale questo potere gli viene concesso e, per assicurarsi l'approvazione secondo i propri voleri, usa un atto, nato affinchè il parlamento potesse controllare il potere esecutivo, come una blindatura alla discussione, trasformando un giudizio su uno specifico atto legislativo in un giudizio complessivo sull'operato del Governo.
Così fa la riforma del lavoro il governo Renzi. Ora aspettiamo i decreti delegati.