venerdì 5 dicembre 2014

Sulla fiducia ovvero riflessioni sul Jobs Act

Ieri il Senato ha approvato con Atto 1428-B la "Delega Lavoro", quello che viene comunemente chiamato dal Governo e dalla stampa il "Jobs Act" ( chissà poi perchè in inglese?).
Alcune riflessioni e precisazioni:

1) si tratta di una Legge Delega, cioè di  un provvedimento del Parlamento che concede per un tempo limitato il potere legislativo al Governo. In forza di questo atto, il Governo ha non più soltanto, come in condizioni normali, la possibilità di avviare iniziative di legge presentando dei disegni di legge al Parlamento o di legiferare d'urgenza ( decreti legge) salvo poi conversione da parte del Parlamento.
L'art. 76 della Costituzione Italiana recita:"L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti". Fino a qui ci siamo, credo, salvo ripromettermi nei prossimi giorni di leggermi il dettaglio del testo per verificare se rispetta i criteri entro il quale la delega va fornita.
Faccio notare che l'iniziativa della Legge Delega nasce dal Governo stesso, essendo presentatori della stessa il Presidente del Consiglio Renzi e il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti.
In pratica il governo dice al parlamento: ti chiedo il permesso di fare leggi al posto tuo, però ti dico io come darmi questo permesso, cosa metterci dentro. Non è costituzionalmente vietato, però questa pratica si evidenzia come una forzatura evidente del ruolo del governo (funzione esecutiva) a scapito del parlamento (funzione legislativa), al quale si mettono le parole in bocca.

2) la "Delega Lavoro" viene approvata in via definitiva al Senato, dopo essere sottoposta al voto di fiducia, dopo che, fino a pochi giorni fa, dopo la riunione di direzione del PD, il Governo aveva escluso il suo utilizzo.
Risultato della votazione: 166 favorevoli, 122 contrari e 1 astenuto.

3) la fiducia è regolata dall'art. 94 della Costituzione, il quale afferma: " Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. ...".
Nelle democrazie parlamentari si tratta di un atto, formale o informale, con il quale il Parlamento esprime il suo governo e ne controlla il funzionamento. Un Governo che non ottiene la fiducia o al quale è stata revocata, non può rimanere in carica.
Ma nel corso della pratica parlamentare la fiducia viene posta dal Governo quale atto "accessorio" di leggi ritenute importanti dal Governo stesso: se non viene approvata la legge su cui è espressa la questione di fiducia, per analogia è come se il Governo venisse sfiduciato. Il Parlamento si assume la responsabilità di far cadere il Governo per un disaccordo su uno specifico atto politico.
Di fatto la funzione dell'istituto della fiducia risulta capovolta: il Governo mette nell'angolo il Parlamento, da forma di controllo la fiducia diventa forma di sottomissione.
Nonostante la sua rilevanza nelle vita politico-parlamentare, la questione di fiducia non è costituzionalmente prevista, ma è una  prassi consolidatasi nel tempo e in seguito inquadrata dai regolamenti della Camera e del Senato.
Concepita e praticata in questo modo, la fiducia contraddice lo stesso dettato costituzionale che, ancora all'art. 94.4, afferma: " Il voto contrario di una o d'entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni".
E' ammesso un disaccordo tra Parlamento e Governo su singole leggi; il voto contrario su una iniziativa del Governo, dopo che questo ha ottenuto la fiducia, non ne comporta la caduta.. L'applicazione della fiducia secondo i Regolamenti delle Camere, invece si.

Ricapitolando: il governo chiede al parlamento di affidargli il potere di fare le leggi, lo fa scrivendo lui stesso il testo della legge con la quale questo potere gli viene concesso e, per assicurarsi l'approvazione secondo i propri voleri, usa un atto, nato affinchè il parlamento potesse controllare il potere esecutivo, come una blindatura alla discussione, trasformando un giudizio su uno specifico atto legislativo in un giudizio complessivo sull'operato del Governo.
Così fa la riforma del lavoro il governo Renzi. Ora aspettiamo i decreti delegati.

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