domenica 30 novembre 2014

Il XV Congresso del Front National

Sabato 29 e domenica 30 novembre si è tenuto a Lione il XV Congresso del Front National.
Gli avvenimenti più importanti di questo congresso sono stati: l'elezione del nuovo Comitato Centrale e di altri organi del partito, la rielezione del Presidente del partito in carica e la presenza di alcuni ospiti politici stranieri.
Gli organi politici del partito erano stati scelti in precedenza in occasione del XIV Congresso svoltosi a gennaio del 2011, quello noto per la consacrazione di Marine Le Pen e della nascita del "secondo Front National".
Il FN ha attualmente 83.000 aderenti, notevolmente accresciuti rispetto ai 23.000 di tre anni fa. Possono votare solo gli aderenti che sono in regola con la quota d'iscrizione, pari, secondo i dati forniti dal vice-presidente con delega agli affari legali Jean-Francois Jalkh, a circa 42.100 iscritti.
Gli aderenti votano in maniera diretta, per corrispondenza, sia per il Comitato Centrale che per il Presidente.
Il FN non ha correnti interne, nè sono state presentate mozioni di minoranza in questa occasione, per cui l'elezione del Comitato Centrale ( 100 eletti scelti da una rosa di 400 candidati) ha anche rappresentato un indicatore della popolarità presso la base delle personalità del partito più in vista.
Era difficile non vivere questo momento come una gara tra la giovane Marion Maréchal-Le Pen ( nipote del fondatore Jean Marie Le Pen e figlia della sorella di Marine Le Pen ) e il braccio destro di Marine Le Pen e vice-presidente del partito Florian Philippot.
La divergenza delle loro opinioni ( definita "nuances") poggia su una visione della giovane Marion più liberista in economia e più conservatrice in materia sociale rispetto alla linea ufficiale del partito, mentre Philippot incarna una visione post-chevènementista ( dal nome di Jean-Pierre Chevènement, uomo politico francese passato da posizioni socialiste a altre di progressismo radicale fino a tesi prossime al gaullismo. E' sempre stato contrario all'Unione Europea. La diaspora del partito da lui fondato ha interessato anche il Front National),  "nazional-repubblicana", anti-euro e anti-Unione e vicine al gaullismo (vicinanza  peraltro rifiutata dall'UMP).
La prima posizione ottenuta da Marion Maréchal-Le Pen ( contro il quarto posto di Philippot) ha sicuramente rafforzato la sua influenza anche e soprattutto a seguito della nomina di Nicolas Bay (che condivide con lei molte posizioni) a segretario generale del partito, quindi il capo dell'organizzazione che, tramite la nomina dei segretari dipartimentali, controlla la base organizzativa del partito stesso.
Al di là di questa apparente e (limitata) sconfitta di Marine Le Pen, ad un esame più attento, si può sostenere che questo congresso ha rafforzato le posizioni della Presidente, con un ricambio radicale del personale del partito a lei favorevole.
Soprattutto ad essere ridimensionato è Bruno Gollnisch, sfidante della Le Pen nel 2011, arrivato quinto nell'elezione del CC, ma i cui sostenitori sono stati spazzati via. Risultato sorprendente soprattutto alla luce del fatto che Gollnisch poteva vantare una presenza nel vecchio comitato centrale pari al 45% e che è stato l'unico a presentare una propria lista di candidati.
Un altro segnale importante è il pessimo risultato ottenuto da Alain Jamet, cofondatore del partito, che deve abbandonare la carica di vice presidente.
Confermati Steve Briois, che ottiene anche la carica di vice-presidente agli esecutivi locali e all'inquadramento e il compagno di Marine Le Pen, Louis Aliot ( arrivato secondo nelle elezioni al CC) che ottiene da vice-presidente il dossier degli eletti e della formazione.
Tra i due sfidanti su cui i media hanno puntato la loro attenzione, bisogna ricordare che Marion Maréchal-Le Pen si è rifiutata di assumere incarichi nell'Ufficio Esecutivo, onde evitare accuse di familismo soprattutto da parte degli avversari. mentre Philippot ha mantenuto la vice-presidenza con delega alla strategia e alla comunicazione.
D'altronde che Marine Le Pen dovesse rafforzare le sue posizioni, soprattutto organizzative, era condizione necessaria per guidare il partito attraverso i prossimi appuntamenti elettorali del 2015 ( dipartimenti e regioni) fino all'appuntamento delle presidenziali nel 2017, elezioni delle quali la Le Pen dichiara già spavaldamente che il FN parteciperà al ballottaggio.
L'influenza dell'anziano Jean-Marie Le Pen, presente in tutti gli organi del partito in qualità di Presidente Onorario, è talvolta sopravvalutata, soprattutto per la capacità del fondatore di coinvolgere emotivamente la base, ma trova limitata espressione tra i quadri del partito.
Come era assolutamente fuori discussione ( non erano presenti candidature alternative) , Marine Le Pen è stata rieletta Presidente con 22.329 voti e solo 17 schede nulle.
Nel discorso di chiusura del congresso Marine Le Pen ha fatto ricorso a toni decisi, talvolta visionari, ma molto attenti, collocando il suo partito dentro la storia e la cultura della Repubblica Francese. Ha difeso gli ideali di una Repubblica una e indivisibile, sociale e laica, valori disattesi dai gollisti dell'UMP e dai socialisti del PS, mai nominati separatamente a voler sottolineare la loro identità di vedute e di responsabilità. Ha addossato ad altri l'accusa di estremismo, posizionando il FN come baluardo dell'ultrastatalismo e dell'ultraliberismo.
Non ha mancato infine di fare richiami all'insicurezza e all'immigrazione.
Infine, il Congresso è stata l'occasione per un incontro con esponenti stranieri di partiti alleati al FN, ospitati come oratori al congresso. La maggioranza di questi sono partiti dell'estrema destra alleati del FN nella battaglia dentro e contro le istituzioni europee. Particolare importanza ha avuto la presenza di Andrei Issaiev, vice-presidente della Duma russa e membro di Russia Unita, il partito di Vladimir Putin. La relazione tra i due partiti è recente e questa era la prima volta di un ospite russo ad un congresso del Front National. Issaiev ha attaccato i burocrati dell'Unione Europea," burattini degli Stati Uniti", denunciato  il "colpo di stato anticostituzionale" in atto in Ucraina e le sanzioni commerciali contro la Russia e ricordato l'alleanza di vecchia data tra la Francia e la Russia.
Marine Le Pen ha approfittato dell'occasione per chiarire che per il FN l'Europa va dall'Atlantico agli Urali e non dagli Stati Uniti a Bruxelles.
Tutti gli interventi degli altri ospiti ( Matteo Salvini della Lega Nord,Geert Wilders del PVV olandese, Hans-Christian Strache del FPO austriaco, Philip Clays del Vlaams Belang fiammingo, Jiri Janecek del OK Strana ceco e Krasimir Karakachanov del VMRO bulgaro) si sono caratterizzati per un forte antiamericanismo, una russofilia accentuata e una decisa opposizione all'immigrazione.
Da ricordare che il 23 novembre il FN ha ricevuto un finanziamento di 9 milioni di euro dalla filiale russa della First Czech-Russian Bank.
Secondo Mediapart, Cotélec, un micro partito di proprietà di Jean Marie Le Pen, avrebbe beneficiato in aprile di 2 milioni di euro provenienti da un conto cipriota e depositati su un conto svizzero.Il conto cipriota è riconducibile a Yuri Kudimov, ex agente del KGB, riconvertitosi banchiere dentro la banca statale russa VEB Capital.
Il legame tra Russia e FN dimostra così di essere piuttosto radicato.

venerdì 28 novembre 2014

Il piano di investimenti di Juncker: come modificarlo radicalmente

Il post che segue è la traduzione dall'inglese di un articolo scritto dagli economisti Mariana Mazzucato e Caetano Penna e pubblicato in data 26 novembre 2014 in lingua originale sul blog di Mariana Mazzucato 


Oggi il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha annunciato un piano di investimenti per l'Europa di 315 miliardi di €, che avranno un effetto leva sul finanziamento proveniente dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) attraverso una nuova entità finanziaria: il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici.

Oh, ma aspettate. Non si tratta realmente di un piano di investimenti di 315 miliardi di euro. Ad un esame più ravvicinato la UE sta solo pianificando di riallocare denaro esistente in un nuovo fondo ( 21 mld. € da stanziamenti esistenti e la BEI, essendo una parte di esso denaro che già stava andando al programma di investimenti in innovazione Horizon 2020).  L'Unione Europea allora spera di ottenere un effetto leva pari a 15 per trasformare questi 21 mld. di € in investimenti per 315 mld. €.

Questo non accadrà mai. Per la stessa ragione per la quale un altro strumento, il Meccanismo di Stabilità Europeo (ESM - acronimo in inglese - nota del traduttore) non ha mai ottenuto molta leva dagli stati membri - essendo agli stessi stati richiesto di continuare un programma di austerità da matti. Alla base di tutto, 315 mld. € sarebbero sufficienti? Negli Stati Uniti, dopo la crisi finanziaria, il Governo ha investito il 4% del PIL (787 mld. $ nel American Recovery and Reinvestement Act del 2009, che ha anche indirizzato investimenti in aree verdi tramite agenzie come ARPA-E). Paragonato a questo, anche se Juncker riuscisse a raccogliere 315 miliardi di €, questo sarebbe ancora non sufficiente. Questa è una enorme opportunità persa perchè, con un serio impegno di investimento, la UE potrebbe oggi essere sulla strada della ripresa.

Un aspetto positivo del piano è il coinvolgimento della Banca Europea per gli Investimenti. Mentre abitualmente l'attenzione è solitamente sulla BCE, e la sua impossibilità fino ad ora di comportarsi come una vera banca centrale (essendo prestatore di ultima istanza e permettendo l'acquisto di titoli di stato), l'attenzione adesso sulla BEI significa, si spera, che si capisce che, anche quando dovesse partire il "quantitative easing" (QE) in Europa, questo non sarà sufficiente. I finanziamenti devono essere "diretti" verso l'economia reale - cosicchè il nuovo denaro creato non si fermi soltanto nei forzieri delle banche. Lasciamo da parte per un momento il reale effetto leva. Perchè è bene cominciare a preoccuparsi delle BEI e non solo della BCE?

In un momento in cui la crescita nelle economie europee sta vacillando, i bilanci nazionali sono limitati da misure di austerità, agli investitori privati mancano"gli spiriti animali" keynesiani - e, allo stesso tempo, le soluzioni a problemi pressanti come l'invecchiamento, la disoccupazione giovanile e i cambiamenti climatici, richiedono un'enorme somma di nuovi investimenti. L'Europe ha bisogno che la BEI diventi parte del selezionato gruppo di Banche d'Investimento Statale (SIB) che in maniera crescente promuovono investimenti strategici che sono rivolti ad aree specifiche, con lo scopo di promuovere una crescita intelligente ( trainata dall'innovazione ), sostenibile e inclusiva.

Come spieghiamo nel dettaglio in un articolo scientifico recente, la rafforzata attività delle SIB è una forza di contrasto alla ritirata del settore finanziario privato dal finanziare l'economia reale. Il "corto termismo" del sistema finanziario è stato accompagnato dalla crescente finanziarizzazione delle imprese , i dipartimenti finanziari delle quali sono diventati in maniera crescente centri di profitto, a detrimento delle attività operative di base. La crisi finanziaria del 2007 ha evidenziato questi processi in corso da decenni, rivelando la fragilità dei mercati finanziari speculativi e delle imprese finanziarizzate.

Gli anni recenti hanno anche visto le Banche Statali d'Investimento incrementare il loro ruolo in aree dove la finanza privata ha paura di incamminarsi. Questo è evidentissimo nell'emergente economia "verde"; investimenti su scala planetaria finalizzati alle sfide globali del limitare le emissioni del carbone. Secondo i dati compilati dalla Climate Policy Iniziative ( Figura 1) nel 2012, la quota delle istituzioni finanziarie per lo sviluppo ( cioè SIB) nel "panorama delle finanza per il clima" era del 34% ( la più alta quota di ogni singolo tipo di attore), paragonata al 29% degli sviluppatori di progetti ( incluse le utilities di proprietà pubblica), il 19% degli attori aziendali, il 9% dei nuclei familiari, il 6% di tutti i tipi di istituzioni finanziarie e il 3% dei governi ( investimenti da bilanci governativi). Dati tratti da Bloomberg New Energy Finance mostrano che la tedesca KfW, la China Development Bank e la BNDES sono le più attive banche statali d'investimento impegnate in questo tipo di finanza per l'energia verde "orientata all'obiettivo" (Fig. 1), come infatti abbiamo sentito recentemente alla conferenza sulla Finanza orientata all'obiettivo per l'innovazione che abbiamo organizzato a Londra quest'anno. Altre aree dove le SIB promuovono investimenti "orientati all'obiettivo" includono la salute e il settore farmaceutico, il clima e la protezione dell'ambiente (oltre l'energia verde), l'integrazione regionale e l'inclusione di comunità periferiche nel sistema finanziario.

Figura 1: le banche statali d'investimento ("development finance institutions") sono la singola più importante fonte di finanziamento per progetti di riduzione e adattamento dei cambiamenti climatici

Fonte: basata sui dati da Climate Policy Initiative


Figura 2: i finanziamenti "orientati all'obiettivo" delle banche statali d'investimento per progetti di energia verde
Fonte: basata sui dati di Bloomberg New Energy Finance (BNEF)

La BEI ha il potenziale per diventare una delle più importanti SIB "orientata all'obiettivo". Infatti noi crediamo che le SIB siano molto appropriate come fonti di finanziamento per progetti che affrontano queste nuove sfide (o obiettivi). Perchè queste sono istituzioni bancarie, sono in grado di accedere alla praticabilità economica dei progetti, che è cruciale se nuove tecnologie e progetti innovativi devono sostituire quelli vecchi. Inoltre, le SIB hanno fornito tradizionalmente finanziamenti a lungo termine ( per progetti a intensità di capitale, per esempio) e pazienti finanziamenti a lungo termine impegnati sono cruciali per rendere economicamente fattibili nuovi progetti orientati all'obiettivo. Le istituzioni bancarie sono anche ben posizionate per coordinare i portatori di interessi rispetto all'azienda, dal momento che parte del processo bancario è stabilire relazioni e costruire una rete con una varietà di attori ( da funzionari governativi ad attori aziendali a consumatori). Il fatto che le SIB abbiano un vasto portafoglio di strumenti di finanziamento ( capitale, prestiti, finanziamenti a fondo perduto, etc...) consente loro di abbinare il finanziamento più appropriato al progetto, sia che sia incrementale sia che sia radicale ( per esempio, capitale o contratti di rischio per l'innovazione radicale, prestiti per progetti di innovazione incrementale, finanziamenti a fondo perduto per la Ricerca e Sviluppo visionaria). Infine, le SIB hanno tradizionalmente svolto i loro ruoli in coordinamento con politiche governative, e nuove missioni potrebbero potenzialmente costruirsi su questo importante nodo della rete governativa.
Juncker ha fatto un passo nella direzione giusta parlando di investimento e crescita, e non solo riforme strutturali. Inoltre ha fatto un passo corretto nel mettere la BEI al centro. L'investimento è ciò di cui l'Eurozona ha disperatamente bisogno, non l'austerità della quale abbiamo sentito parlare sin dall'inizio della crisi finanziaria. Ma se vuole che questa strategia funzioni, deve supportarla concretamente e con convinzione. Aumentare gli investimenti diretti e attribuire alla BEI una strategia che vada oltre il sistemare "i fallimenti del mercato" per massimizzare l'impatto di trasformazione degli investimenti pubblici nel dar forma e creare i mercati.


domenica 23 novembre 2014

Globalizzazione, democrazia e partiti no-euro

Il fenomeno sociale ed economico che ha dominato gli ultimi decenni è stato sicuramente la globalizzazione. Essa ha portato ad una nuova civiltà dove le società sono strettamente interconnesse.
Interconnessione che si manifesta più visibilmente nel fenomeno delle moderne tecnologie d'informazione, ma che trova senz'ombra di dubbio il proprio motore nell'organizzazione delle grandi imprese multinazionali, nella liberalizzazione del commercio, nella diffusione globale di modelli culturali di massa e fonti d'informazione omologate e controllate da pochi centri.
Spesso questo fenomeno viene presentato come una inevitabile evoluzione della storia, un processo "senza alternative"  ( quest'ultimo tema della politica introdotto nell'agenda politica soprattutto alla Lady di Ferro, Margareth Thatcher ), secondo il quale, destino dell'umanità è di vivere in un unico mondo privo di divisioni. Tralasciando le opinioni e ogni giudizio di valore circa la desiderabilità e la dimostrabilità di tale visione teleologica del percorso dell'umanità, analizzeremo invece quali sono i fenomeni "facilitanti" di tale percorso.
In primo luogo i difensori acritici della globalizzazione, scaricano la responsabilità principalmente sulle logiche dell'economia, che funzionerebbe come una forza scatenante ( ma soprattutto scatenata ) di altri fenomeni, grazie soltanto al dispiegarsi delle sue immanenti leggi naturali.
Va da sé che opporsi alla Natura, oltre che antimoderno e antistorico, rischia di essere soprattutto inutile.
In realtà, come concordano due osservatori attenti e critici come Stiglitz e Gallino, pur partendo da formazioni culturali e politiche diverse, il processo della globalizzazione degli ultimi decenni è stato dettato dai cambiamenti imposti dalla politica alle regole del gioco, con la liberalizzazione dei flussi dei capitali e delle merci, imposta seguendo l'ideologia neoliberale, a forza di crisi finanziarie e ristrutturazioni politico-economiche guidate dall'FMI. La politica, quindi, e non l'economia ha promosso la globalizzazione.
Il risultato è stato apparentemente un boomerang, con l'innegabile, ma non incolpevole, ridimensionamento del ruolo della politica come guida della società. Qui però bisogna stare attenti al piano "geografico" su quale si gioca, perchè in ultima analisi ad essere duramente colpita è stata soprattutto l'istituzione dove, nella seconda metà del XX secolo, si era manifestata in maniera più evoluta e compiuta la democrazia: lo Stato Nazionale.
Occorre quindi precisare che a risultare sconfitta non è stata la politica, intesa come potere, ma la politica intesa nella sua espressione nazionale. Il potere si è trasferito su un "piano" più alto.
Hanno cominciato ad essere imposti agli Stati Nazionali "vincoli esterni", proposti da organismi caratterizzati dalla scarsa o nulla rappresentatività democratica , i quali hanno cambiato il volto di intere società. Facciamo un breve elenco dei risultati: riduzione dell'intervento dello Stato, soprattutto nella sua forma più recente di Welfare State, privatizzazioni, liberalizzazione dei capitali e dominio dei mercati, precarizzazione del lavoro, crescita della diseguaglianza e polarizzazione della ricchezza.
Spesso il noto filosofo e sociologo Zygmunt Bauman nelle sue conferenze parla di questo fenomeno come di una separazione tra potere e politica. Personalmente, preferisco parlare di avvenuta separazione tra potere e sovranità. La sovranità, nazionale e popolare, è stata svuotata del suo potere.
Abbiamo vissuto e stiamo vivendo un processo di "esternalizzazione del potere", secondo il quale esso si colloca al di fuori delle comunità sulle quali esso si applica.
Vediamo la descrizione di questo fenomeno dalle parole di Zygmunt Bauman ( pag. XXII e XXIII di "La società sotto assedio"): "Proprio come allora, le odierne istituzioni di controllo democratico, politico ed etico, territorialmente confinate e ancorate al suolo come sono, non possono minimamente contrastare la finanza, il capitale e il commercio globali, sempre più extraterritoriali e fluttuanti."
In questa visione possiamo inserire la nascita e lo sviluppo della Comunità Economica Europea prima e dell'Unione Europea dopo.
Mettiamo brevemente alla prova le istituzioni europee, per capirne la natura e le funzioni.
La nuova realtà europea potrebbe essere vista come un "corpo intermedio", che si giustifica come reazione al potere economico extra-nazionale, un tentativo volto a tutelare i cittadini europei di fronte al fiume in piena della globalizzazione, un nuovo confine entro il quale riattivare i diritti politici, sociali ed economici messi sotto tiro dal potere economico globale.
Tale speranza ha però vita breve: in primo luogo appare chiaro come le sue stesse dimensioni intermedie ne vanificherebbero gli sforzi regolatori su un capitale che si muove da tempo su orizzonti più ampi e superiori.
Ma a vanificare alla radice tale speranza interviene l'analisi storica del realizzarsi dell'Unione Europea e la conseguente introduzione della Moneta Unica.
Applicando lo schema di Bauman dovremmo aspettarci che a promuovere le istituzioni europee a sua tutela fosse stata la politica democratica, quindi con ampio e motivato consenso dei cittadini elettori. Il vizio originario sta proprio nel fatto che sono state, invece, le stesse elites economiche nazionali a proporre e sostenere l'introduzione di istituzioni extra-territoriali, con il dichiarato vizio d'origine del "vincolo esterno", come uno strumento al loro servizio.
Numerose sono le testimonianze e le ammissioni in tal senso dei protagonisti della costruzione dell'Unione Europea. Tra questi vorrei ricordare Guido Carli ( firmatario del Trattato di Maastricht ) che nel suo libro di memorie del 1996 (" Cinquant'anni di vita italiana") a pagina 406 scrive:" Per parte mia, ho informato la mia azione all'idea che per il nostro Paese la presenza di un vincolo giuridico internazionale avesse una funzione positiva agli effetti del ripristino di una sana finanza pubblica, ritenendo, pessimisticamente, che senza questo obbligo difficilmente la nostra classe politica avrebbe mutato indirizzo".
Per inciso, vale la pena di ricordare che lo stesso Carli sostenne "la più completa autonomia della Banca d'Italia" presentando "disegni di legge con i quali viene munita del potere di determinare senza concorso del Tesoro i tassi ufficiali  e con i quali si rescinde ogni legame con il Tesoro dal quale possa derivare l'obbligo di finanziarne le occorrenze...". Insomma, il famoso divorzio Tesoro-Banca d'Italia, a seguito del quale la banca centrale italiana cessa di essere sottoposta ad ogni forma di controllo/legittimazione politica e il Ministero del Tesoro cessa di avere il controllo della politica monetaria.
E' fatto notorio e consolidato che lo strumento operativo principe che le istituzioni europee si sono date per attuare le loro politiche sia l'Euro ( per comprenderne i motivi e le dinamiche rinvio a chi ne sa più di me in materia).
Dopo decenni di univoca ideologia pro-euro, negli ultimi tempi si è aperto un dibattito sull'uscita dall'Euro che ha trovato sponda e sostenitori politici in alcuni partiti, collocati prevalentemente sull'ala destra dello schieramento politico. Alcuni esponenti di sinistra italiani hanno cominciato ad esprimere opinioni di critica all'Euro, ma in realtà nessun partito della sinistra ha assunto tale prospettiva nel suo programma.
I più noti partiti apertamente no-euro sono il Front National ( in Francia ), la Lega Nord e Fratelli d'Italia - Alleanza Nazionale ( in Italia ), mentre il Movimento 5 Stelle ondeggia a seconda dei momenti, ma nel suo Programma nessuna delle 5 Stelle è dedicata all'Euro e alle istituzioni europee.
Se è vero lo scenario descritto prima sulle dinamiche che coinvolgono potere economico e democratico, appare evidente l'inadequatezza della risposta indicata dai suddetti partiti per il loro dichiarato nazionalismo ( la Lega Nord ha assunto atteggiamenti nazionalisti da poco, dopo essere stata per lungo tempo anti-nazionale, secessionista e/o federalista a seconda del momento politico e della sua collocazione rispetto al governo nazionale).
Una risposta che porta con sé la ri-valorizzazione delle istituzioni nazionali, è destinata ad essere inefficace, perchè fa riferimento ad istituzioni oramai de-facto svuotate e non aiuta minimamente a ridefinire un nuovo assetto istituzionale realmente capace di incidere sulle dinamiche reali che influiscono sulle comunità di persone nel contesto globale e a rivitalizzare le istituzioni democratiche.
Chiudo con una piccola e ovvia riflessione: la delocalizzazione, la crescita della disuguaglianza, la rapacità del capitale, la distruzione dell'ambiente, purtroppo hanno luogo anche negli Stati Uniti, con altri assetti istituzionali. Con questo intendo dire che il problema è più ampio e in Europa ha trovato una sua forma specifica, ma la sua natura travalica i confini dell'Europa.
Perchè sia parte di una più ampia battaglia sulla democrazia e sulla natura delle moderne istituzioni politiche auspicherei vivamente una uscita dall'Euro non nazionalistica.