domenica 19 aprile 2020

Attualità di Mazzini democratico

Non ricordo di aver studiato il pensiero politico di Mazzini ai tempi degli studi universitari, né di averne notato qualche citazione nel dibattito pubblico italiano negli ultimi anni, neppure nel gran parlare di Europa. Strano per un uomo che aveva come orizzonte della sua battaglia politica il vecchio continente.
Alla fine, forse non solo per il sottoscritto, rimane solo qualche reminiscenza liceale del Mazzini uomo politico risorgimentale.
Leggendo i suoi "Pensieri sulla democrazia in Europa" (ultima edizione del 2010 curata da Salvo Mastellone) emergono i tratti di una dottrina attuale, estremamente lucida che, padroneggiando le categorie logiche della politica, è in grado di ergersi anche a premonitrice di fenomeni moderni. Forse perché in realtà Mazzini non guarda né all'attualità, né alla storia, ma all'uomo.
Certo è quantomeno originale che la sua definizione di democrazia venga ospitata nell'Oxford Dictionary e nessun riferimento se ne faccia nel "Dizionario di Politica" di Bobbio, Matteucci, Pasquino. Personalmente la trovo una delle più ricche ed intense definizioni di democrazia: "il progresso di tutti per opera di tutti, sotto la guida dei migliori e dei più saggi".
E' una definizione che è già un manifesto. Non è una statica delimitazione procedurale: è una visione dinamica, evolutiva e volontaristica. Non parla di individuo, ma lo presuppone. Non cita il popolo, ma lo sottintende. Nessuna classe né maggioranza; è l'impegno di tutti per il miglioramento della condizione di tutti. E' una democrazia rappresentativa che sa affidare la guida della sua complessità ai migliori e ai più saggi.
E' chiaramente una visione etica e programmatica che, consapevolmente mette al centro del programma politico l'educazione dell'uomo e la sua crescita morale.
E così, nonostante l'oblio che avvolge Mazzini, riferimento non classificabile nella lotta novecentesca tra liberalismo e comunismo, il suo pensiero rimane molto attuale. Forse proprio nel fatto che le sue riflessioni coraggiosamente mettono in guardia sia dai limiti del liberalismo individualista, sia da quelli del collettivismo comunista (che egli intravide prima del loro completo dispiegamento storico), risiede la necessità di rivalutare il pensiero democratico di Mazzini.
Così egli richiama il popolo all'impegno, al proprio ruolo di fautore del proprio destino. Critica le visioni utilitaristiche della ricerca del benessere immediato che portano o al dispotismo ( se si ricerca l'utile collettivo) o all'egoismo (se si mette al centro l'utile individuale). A tal proposito affascina l'attualità di una frase scritta nel 1847, letta ora in tempi di mercato autoregolatore, quando Mazzini dice: " Potete conquistare la libertà commerciale, la libera concorrenza: ma non potete evitare l'oppressione del debole da parte del forte, del lavoratore da parte del capitalista".
Altre interessanti riflessioni le ritroviamo nel testo su "Nazionalità e Cosmopolitismo", in grado di sostenere il tentativo attuale di una parte minoritaria della sinistra di riappropriarsi del concetto di sovranità.
Mazzini rifiuta il cosmopolitismo che si basa sull'individuo, attribuisce il concetto di Nazionalità al popolo e alla patria, sottraendolo all'uso privatistico fatto da re e despoti (ed alcuni ne dovranno arrivare nel '900 tra le sue file) e conclude riunendo Fratellanza (il vero Cosmopolitismo), Nazionalità e Democrazia in una visione delle relazioni internazionali intesa come "il miglioramento di tutti, per mezzo di tutti, il progresso di ciascuno per il vantaggio di tutti".
Già quasi due secoli fa Mazzini metteva in guardia dal Cosmopolitismo basato sull'individuo perché o il singolo si trova sopraffatto ed impotente di fronte alle sorti dell'umanità e riduce i suoi gesti alla beneficienza oppure "crea o adotta un'utopia nella quale, con l'aiuto di un sistema di governo e di autorità dedotto e organizzato a priori, poter immergere e pietrificare l'Umanità". Non so voi, ma a me viene in mente l'Unione Europea.
E se alla luce di queste poche note, si capisce forse come nell'eccesso di originalità si trovi la ragione di una lunga e perdurante scomparsa del pensiero dell'esule genovese dalla scena e dal dibattito politico, è troppo azzardato pensare che una nuova sinistra democratica, egualitaria, antineoliberista, anticomunista, europea, ma non europeista possa ridare nuova vita alle sue riflessioni e farne un nucleo da cui elaborare una nuova strategia?

giovedì 19 marzo 2020

Nuovo liberismo e nuovo coronavirus

La questione era già stata posta in maniera chiara e premonitrice da Norberto Bobbio nel saggio "Liberalismo vecchio e nuovo" pubblicato nel 1981 ed inserito nella raccolta "Il futuro della democrazia" del 1984, tornata alla mia attenzione dopo anni dalla prima lettura, in questi giorni di permanenza prolungata e forzata in casa, a causa delle misure prese per contrastare la diffusione della COVID-19, la malattia indotta dal nuovo Coronavirus.
A proposito del nuovo liberalismo, sia nella sua dottrina politica, che in quella economica - il cosiddetto neo-liberismo - Bobbio ebbe a dire che questo, lottando per lo Stato Minimo contro lo Stato Paternalistico (o del Benessere o Welfare State) rischia di travolgere la democrazia, la quale, tramite il suffragio universale, è la vera fonte creatrice del Welfare State moderno. Infatti la possibilità di espressione delle proprie volontà politiche del popolo tramite i partiti di massa porta all'attenzione dello Stato nuove ed ampie richieste di protezione.
Se liberalismo "antico" e democrazia sono precondizioni uno dell'altro, neoliberismo e democrazia sono incompatibili. Nelle parole di Bobbio:
" ...oggi questa lotta su due fronti ( paternalismo economico-sociale ed assolutismo politico - n.d.a.) condurrebbe inevitabilmente alla fine della democrazia (e le prime avvisaglie ci sono già)."
Ricordo che siamo nel 1981, Margareth Thatcher era diventata Primo Ministro nel maggio 1979.
Dopo essersi affermato come pratica politica con i suoi più noti esponenti (Margareth Thatcher appunto e Ronald Reagan) ed aver ispirato le politiche delle più importanti istituzioni economiche che regolano la globalizzazione, è opinione diffusa che il neoliberismo sappia rinforzarsi ed accrescere la sua presa, di fatto ed ideologica, soprattutto nei momenti di crisi.
La tecnica è sempre la stessa ed è racchiusa in un acronimo che fa riferimento ad una nota espressione della Thatcher: T.I.N.A. - there is no alternative.
Nella storia recente possiamo ricordare almeno due episodi, che costituiscono le cerniere su cui la diffusione di questa dottrina si è incardinata: la crisi finanziaria del 1997 che coinvolse le Tigri Asiatiche e la grande crisi finanziaria globale del 2008.
Nel 1997 l'FMI ( Fondo Monetario Internazionale), per risolvere una crisi nata da forti speculazioni internazionali sulle valute di Thailandia, Indonesia e Corea del Sud, impose tutte le ricette di liberalizzazione dei mercati dei capitali e contestuale contenimento del deficit pubblico ( strumento di finanziamento di politiche sociali espansive) che da allora identificano il modus operandi di questa istituzione ( le c.d. riforme strutturali)
E' nota la ferrea critica dell'economista ed ex vice presidente della Banca Mondiale Joseph Stiglitz alle misure imposte allora dall'FMI.
Nel 2008 una grave crisi finanziaria originatasi negli Stati Uniti, vide come risultato il capolavoro di riuscire a trasformare una crisi di eccesso di debito privato (imprese finanziarie e non e famiglie indebitati con prestiti e mutui in un mondo in cui si era diffusa l'illusione di aver eliminato il rischio finanziario e di aver trovato la ricetta della crescita infinita) in una crisi di debito pubblico, chiedendo ed ottenendo poi provvedimenti di contenimento e riduzione degli istituti dello Stato Sociale, con conseguente redistribuzione delle ricchezze dal basso verso l'alto.
In questo rapido excursus, tralascio di fare riferimento alla storia dell'Unione Europea e della Moneta Unica, perché richiederebbe un post dedicato, ricordando solo quali danni sociali abbia prodotto il modo in cui è stata affrontata la crisi greca.
E ora dopo le crisi finanziarie, la crisi sanitaria. La prima crisi sanitaria globale ( la pandemia) in tempi di capitalismo neoliberista.
Fugo subito il dubbio degli "acritici che criticano": non parteggio per quella frangia di cospiratori di professione che sostengono che il virus sia stato creato in laboratorio, sfuggito al controllo, magari volontariamente, per chissà quali scopi di dominio geopolitico.
Annoto soltanto che la storia non ha un percorso rettilineo, si fa a seguito dell'affermarsi di rapporti di forza altalenanti ed in divenire. Guardando ai grandi momenti di confusione e cambiamento come le rivoluzioni, non si può non rilevare come spesso gli esiti si sono rivelati diversi da quelli ricercati dai promotori delle stesse. Evidentemente muoversi nelle crisi, politiche, economiche o finanziarie richiede abilità specifiche.
E così, mentre alcune voci isolate nel gran rumore dell'informazione ( Gaetano Azzariti oggi sul Manifesto e Sabino Cassese sul Corriere della Sera) ragiona no di funzionamento delle Istituzioni Democratiche e di limiti sostanziali e di tempo dei provvedimenti straordinari emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri Conte, volgo l'attenzione all'economia.
Siamo così sicuri, come sembrava fino a ieri nei dibattiti televisivi o nelle prese di posizione delle forze politiche, che questa crisi sanitaria e le sue inevitabili conseguenze sulle attività produttive e sui lavoratori (dipendenti ed autonomi) comportino una revisione delle logiche di politica economica in vigore attualmente? Che invece di tagliare la spesa pubblica si decida per espanderla? Che lo Stato possa davvero, senza prezzo, decidere di accrescere il debito pubblico per affrontare l'emergenza, prima di aver rimosso alcune costrizioni attualmente in vigore? Che insomma tutti si siano rapidamente e disinvoltamente convertiti al keynesismo e che i sostenitori del neoliberismo e le sue Istituzioni, momentaneamente silenti, permetteranno che questa accada?
I primi provvedimenti annunciati o già assunti sono stati promossi dai vari stati europei singolarmente, ma se entrasse in campo il MES?






giovedì 8 gennaio 2015

L'attentatore e la fotocopia

Ho scelto di rinunciare alle fedi. Perchè non me lo posso permettere. Non mi posso permettere di non provare a capire da solo. Tutte le volte, tutte le cose con il limite evidente delle mie sole capacità e dell'arma faticosa del dubbio.
Si, faccio fatica. Mentale, anche fisica.  E spesso non arrivo a nulla. Ma detesto le idee precostituite, le narrazioni omnicomprensive, le risposte confezionate.
E' così che sto affrontando queste tragiche giornate. E' per questo che l'attacco alla libertà di stampa, alla libertà d'espressione, mi si è conficcato in testa. Zittire le opinioni? Giuste, sbagliate, forti, insensate. Opinioni. Troppo poco per morire.
In realtà non so nulla di Charlie Hebdo. Come tanti di noi. Ma il meccanismo difensivo si innesca. Ci sono morti a causa delle loro idee. Inaccettabile. Sconcertante.
Come sconcertanti sono le reazioni all'avvenimento. Tutte interne all'occidente, differenti per impostazione, ma sempre legate allo stesso schematismo. Le chiese schierano le loro truppe: gli antimperialisti, gli anti-islamici, i convertiti, i difensori della civiltà occidentale, gli scontro-civilisti, i complottisti, gli anticomplottisti. Tutti i dogmi si dispongono in campo. Un polverone denso si alza nell'aria. Si intravvedono le immagini dell'assurda esecuzione di un agente di origine araba da parte di un incappucciato armato, a passeggio per le vie di Parigi.
Chi ha fatto quel filmato, mi chiedo. Quale inutile freddezza può aver portato i dipendenti di Charlie Hebdo a twittare le foto della loro fuga sul tetto? A riprendere un video di persone asseragliate sulla copertura dell'edificio?
Poi tutti ad aspettare l'assalto. Ecco. Ci siamo. No, tutti a letto. Lo spettacolo riprende domani.
Da non esperto militare, non esperto di servizi segreti, non esperto di guerriglia urbana, capisco che questo attentato avrà delle conseguenze sulle nostre vite, che troppe tessere mancano a completare il mosaico, che da qualche parte nel mondo altre vittime di insulsa violenza sono morte anche oggi, che un attentatore che dimentica la carta d'identità durante un assalto, difficilmente farà carriera.
Speriamo almeno che fosse una fotocopia.

mercoledì 31 dicembre 2014

Buon anno a Lituania ed Albania

Con un giorno d'anticipo facciamo gli auguri alla Lituania che dal 1 gennaio 2015 adotterà l'Euro, divenendo il diciannovesimo membro dell'Unione Europea Monetaria.
Il giorno dell'ufficializzazione di tale evento, il 23 luglio 2014, il presidente del Consiglio della UE, l'italiano Sandro Gozi, ebbe a dichiarare: " E' la dimostrazione della persistente attrattiva del progetto della moneta unica e della sua rilevanza per il futuro della comunità".
Non mi stupisce l'uso della retorica in una occasione del genere, ma continuo a non capire la volontà di appartenere ad un tale Club delle Nazioni più Depresse.
Un altro paese che freme dalla voglia di vincolare la sua politica monetaria e fiscale, abbandonando l'immorale pratica delle svalutazioni esterne per dedicarsi alla pratica delle svalutazioni interne.
Un altro paese che affida alla manifesta incapacità della BCE il mandato di gestire il suo tasso d'inflazione, da un anno e mezzo sotto il livello obiettivo del 2%.
Un altro paese che, in caso di shock esterno, credendosi protetto dalla credibilità e solidità della moneta unica di fatto agevolerà il lavoro degli speculatori che si concentreranno sui tassi.
Un altro paese che ha deciso di combattere la disoccupazione con l'emigrazione dei suoi abitanti, con una popolazione in calo da 3,4 milioni del 2004 a 2,95 milioni del 2014.
Un altro paese che ha deciso di vivere nel cono d'ombra dell'economia tedesca, seconda nazione per importanza nell'import di un paese con una bilancia commerciale costantemente negativa da anni, con un saldo delle partite correnti raramente in attivo dall'inizio della crisi nel 2008.
O forse, semplicemente, un altro paese che interpreta il concetto della solidarietà e collaborazione economica tra le nazioni aderenti alla UE come proposto dal premier albanese Edi Rama.
Di fronte al presidente di turno del Consiglio dell'Unione Europea, il premier italiano Matteo Renzi, il primo ministro albanese invita gli imprenditori italiani ad investire in Albania perchè le tasse sono al 15% e non ci sono i sindacati.
Nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi, il neo candidato all'ingresso nella UE ci ricorda in tal modo i principi sui quali si basa il più grande mercato interno del mondo.
Che Edi Rama sia il segretario del Partito Socialista d'Albania, poi, non può certo scandalizzare chi ha appena assistito alla cancellazione dell'art.18 dello Statuto dei Lavoratori ad opera del segretario del partito erede del Partito Comunista Italiano.
Come l'Unione Europea intenda l'integrazione europea ce lo evidenzia, inoltre, la nuova legge sull'iva sugli acquisti digitali ( quindi beni non materiali ) effettuati in paesi esteri aderenti alla UE, che entrerà anch'essa in vigore il 1 gennaio 2015.
In base alla nuova legge, al consumatore finale sarà applicata l'aliquota iva del paese in cui è residente e non più quella del paese di residenza dell'impresa che vende il servizio o bene digitale.
Vengono così tutelati sia i governi che hanno deciso di spremere con una tassazione non progressiva i propri cittadini, sia i governi che praticano dumping fiscale, non comportando questa norma nessuna variazione nelle aliquote fiscali praticate all'imprese residenti in paradisi fiscali dell'Unione.
Buon anno a tutti!


venerdì 19 dicembre 2014

Questioni sull'allargamento dell'Unione Europea

Devo ammetterlo: non mi è facile collocare geograficamente, storicamente e geopoliticamente rispetto all'Europa due paesi come l'Ucraina e la Turchia. Spontaneamente, sulla scorta degli ormai lontanissimi studi di geografia, direi che la Turchia è in Asia e l'Ucraina in Europa ( dato confermato anche dalla classificazione dell'ONU ). Quanto senta intimamente europea l'Ucraina ( il cui nome pare possa significare "sul confine"  ) devo confessare, sinceramente non lo so, senza voler scomodare valutazioni di tipo culturale e storico.
Quel che è certo è che entrambi i paesi sono attualmente ai margini dell'Unione Europea, fuori da essa, ma desiderosi di entrarvi.
La Turchia è un paese candidato all'ingresso dal 1999 ( nel 1995 la Turchia firmò un trattato di adesione doganale come premessa all'adesione), avendo in corso ufficiali negoziati di adesione all'Unione. I negoziati vivono da sempre fasi alterne e si sono bloccati, per l'ennesima volta, nell'estate del 2014 sui capitoli 17 ( politica  economica e monetaria), 15 ( Energia ) e 26 (istruzione e cultura).
L'Ucraina, invece, ha firmato nel giugno del 2014, gli Accordi di Associazione con l'Unione Europea e un'intesa commerciale. Questi accordi definiscono una crescente collaborazione politica e una progressiva integrazione e liberalizzazione negli scambi commerciali ( la cui applicazione è stata rinviata al gennaio 2016).
I suddetti accordi ufficialmente non sono introduttivi all'adesione essendo uno strumento nuovo, adottato per definire i rapporti tra l'Unione e alcune ex Repubbliche Sovietiche ( Ucraina, Georgia, Moldova, con Bielorussia, Armenia ed Azerbaigian "candidati"). Certo è che il presidente ucraino Poroshenko a settembre 2014 ha dichiarato che l'Ucraina presenterà ufficialmente la sua richiesta d'adesione all'Unione Europea nel 2020.
Altrettanto chiaro è che l'opinione che i partiti di governo di questi due paesi hanno verso la libertà di stampa è molto poco evoluta.
Domenica 14 dicembre 27 giornalisti turchi del gruppo editoriale Zaman sono stati arrestati perchè accusati di minacciare la sicurezza nazionale. Il gruppo Zaman è vicino al predicatore religioso Fetullah Gullen,ex alleato, da qualche anno avversario dichiarato di Erdogan ed esiliato negli Stati Uniti.
Il presidente turco ha risposto alle critiche internazionali, dichiarando che gli arresti sono avvenuti in un quadro perfettamente legale, invitando i critici ( tra cui l'Unione Europea) a non intervenire in affari interni turchi.
Il fatto stesso che sia intervenuto il presidente, piuttosto che il responsabile della sicurezza nazionale, cioè il Ministro degli Interni, conferma l'idea che dietro questi arresti ci sia una lotta di potere tra Erdogan e i suoi oppositori, di cui questi arresti sono solo un episodio.
Registriamo che secondo CPJ ( Commitee to Protect Journalists - una organizzazione no-profit che si batte per la libertà di stampa ) la Turchia nel 2012 e nel 2013 è stata "la più grande prigione per i giornalisti".
Ai primi di dicembre l'Ucraina si è dotata di un nuovo ministero, il Ministero dell'Informazione, al cui capo è stato posto Yurij Stets, già capo del dipartimento sulla sicurezza d'informazione della Guardia Nazionale.
La nomina del nuovo Ministro è avvenuta in un Parlamento blindato, essendo passata con una votazione che riguardava l'intero Governo e non il solo nuovo Ministro. Un artificio che non può non ricordare l'uso della questione di fiducia italiana.
La motivazione ufficiale per la nascita del nuovo Ministero ( in realtà esisteva già sotto il precedente presidente Leonid Kuchma) è di poter condurre ad armi pari la guerra mediatica con la Russia, che condiziona la vita politica dello stato ucraino. Che si tratti di guerra, e non solo d'informazione, lo dimostra il profilo professionale del nuovo Ministro. Difficile sostenere che il Ministero dell'Informazione possa coesistere con un sistema democratico. Difficile pensare che i poteri, ancora incerti, del nuovo dicastero siano usati solo verso la propaganda proveniente dall'estero e non anche verso gli organi d'informazione informazione interna.
Al momento non sappiamo come finiranno le procedure di adesione dei due paesi, ma l'esperienza appresa dalla gestione della crisi economica ci insegna che niente in Europa sembra funzionare meglio del pilota automatico dell'Unione Europea.
In ogni caso consiglieremmo ai due aspiranti di affrettarsi. L'Unione si vanta di aver garantito la pace tra i paesi membri, facendone un caposaldo della sua propaganda; le prospettive di pace dei due paesi ( Crimea, separatismo russofono, i curdi e l'Isis) abbisognerebbero dei poteri taumaturgici della UE.

domenica 7 dicembre 2014

La vane speranze di Mr. "Whatever it takes"

Giovedì 4 dicembre il Consiglio Direttivo della Banca Centrale Europea ( cioè il consiglio dei presidenti delle banche centrali dei paesi aderenti all'Unione Monetaria più il Presidente stesso, il suo Vice ed altri quattro membri) si è riunita per discutere, secondo le dichiarazioni del Presidente stesso Mario Draghi " dell'acquisto di titoli di Stato e di altre attività".
La conclusione è stata che " su questa ipotesi serva ancora lavoro" , ma rimane "lo studio delle nuove misure". ( tra virgolette le dichiarazioni di Draghi).
Ho cercato sui mass-media qualche spiegazione più precisa, ma sembra che l'interesse sia concentrato sul duello all'interno del Direttivo tra varie posizioni e non sulla spiegazione ai lettori di quali temi siano stati realmente affrontati. Come sempre il focus dei mass-.media è sulla cornice e non sul soggetto del quadro, banalizzando immancabilmente ogni argomento.
In pratica ci dicono quello che sappiamo già e non ci dicono quello che non sappiamo ancora.
Così c'è chi ci spiega che quando ci sarà l'intervento non sarà direttamente sui Titoli di Stato di nuova  emissione. Essendo la BCE la Banca Centrale di uno StatoCheNonEsiste e rispondendo al principio dell'indipendenza dalla politica, mai ci saremmo aspettati che la BCE intendesse acquistare in emissione titoli di Paesi Membri, finanziando il loro debito e scatenando la guerra tra i paesi membri sulla legittimità di questo "aiuto di stato".
C'è chi ci delinea gli possibili scenari di crescente competitività delle merci tedesche sui mercati internazionali, offerta come moneta di scambio per vincere l'obiezione della Buba alle prossime mosse di Draghi. Due osservazioni al riguardo: in primo luogo, accettando la trattativa in questi termini con i tedeschi, si legittima chi pensa che Draghi agisca per salvare i paesi mediterranei, mentre la deflazione è un problema europeo.
Secondariamente, apprendendo che esiste uno yen debole, a causa delle manovre della Bank of Japan, e che, come si diceva prima, l'export tedesco vedrebbe di buon occhio un'Euro più debole, abbiamo la conferma che la svalutazione è brutta solo quando la faceva l'Italietta. E che solo quando riguarda l'Italia si chiama "competitiva", lasciando intendere un subdolo secondo fine italico che invece gli altri non hanno.
Però non c'è nessuno che ci spieghi cosa sia il Quantitative Easing, per cui siamo andati alla fonte ( o almeno una di quelle possibili) e ce lo siamo fatti spiegare dalla Bank of England.
Al di là dei tecnicismi, consultando anche il sito della FED abbiamo capito che sostanzialmente il QE rientra tra le operazioni di Mercato Aperto , con la differenza rispetto alle operazioni tradizionali che il denaro arriva direttamente sul mercato ( a istituzioni come fondi pensione, compagnie assicurative e anche banche) e non attraverso fondi messi a disposizione dalla Banca Centrale alle banche e che il tipo di titoli interessati può andare oltre i titoli di stato.
In sostanza, ciò che nessun mass-media dice è che tutto ciò serve a creare denaro. La cosa era evidente da subito, ma nessuno lo dice, si preferisce parlare di inflazione, di tasso di cambio, senza far menzione a come ci si arriva. In Italia, per gli euristi monetaristi alle vongole creare denaro è un tabù, perchè è sempre stato attribuito come vizio accessorio ai sostenitori dell'uscita dall'euro.
Bene, il QE crea denaro. Ma l'inflazione, che Draghi vuole riportare al target del 2%?
Ci facciamo aiutare da Paul Krugman per capire l'effetto esistente tra moneta ed inflazione. In "Fuori da questa crisi, adesso" leggiamo: "Le imprese non decidono di alzare i prezzi perchè l'offerta monetaria è aumentata; lo fanno perché è cresciuta la domanda relativa dei loro prodotti e sono convinte di poterlo fare senza perdere troppe vendite". Lo stesso vale per i lavoratori e il prezzo del loro lavoro ( gli stipendi). Insomma, Krugman afferma:" Se non c'è boom ( domanda - n.d.a.), non c'è inflazione; se l'economia rimane depressa, non ha senso preoccuparsi per le conseguenza inflazionistiche della creazione della moneta".
Si, però, direte  voi, Krugman è un keynesiano, è normale che dica queste cose.
Infatti, come affermano Papadia e Santini ( in "La Banca Centrale Europea") il dibattito sugli effetti che legano l'aumento della massa monetaria e livello dei prezzi è in corso dagli anni '30 e contrappone i monetaristi che "sostengono che l'effetto sui prezzi è rapido ( o addirittura immediato), completo e universale", mentre "i keynesiani controbattono che l'effetto è lento, incompleto e dipende dalle condizioni in cui si trova l'economia".
La mia imbarazzante ingenuità ( fortunatamente condivisa) mi ricorda che le teorie keynesiane hanno fatto uscire il mondo dalla Grande Depressione del 1929 però non è in grado di spiegarmi perchè non si debbano applicarle ancora di fronte alla Più Grande Depressione.
Ma alla fine, il Quantitative Easing, dove è stato applicato, ha portato gli effetti che Draghi si aspetta?
Martin Feldstein, sulla base dell'esperienza statunitense, sostiene di no.